TO VERDENER / WORLDS APART:
Un film per ‘non capire nulla’ dei testimoni di Geova
Quando [nota 1], nel 2008, gli apostati hanno appreso che era imminente l’uscita di un film sul tema dei testimoni di Geova, e per di più incentrato sui temi ‘caldi’ della disassociazione, della frequentazione fra tdG e non e così via, sono comprensibilmente andati in brodo di giuggiole. Si trattava di Worlds Apart (titolo inglese; in originale To Verdener, Danimarca 2008, di Niels Arden Oplev): non esiste infatti un titolo italiano, dato che l’opera non è stata mai doppiata e ha avuto del resto, anche altrove, una distribuzione assai circoscritta [nota 2].
Non era la prima volta che l’industria cinematografica si occupasse dei testimoni di Geova, e nemmeno la prima in cui essi fossero al centro della trama [nota 3]. Nella grande maggioranza dei casi, comunque, sono solo citati di sfuggita, e generalmente con intenzione di bonaria presa in giro [nota 4], come del resto avviene negli show televisivi, in certe vignette umoristiche e in altri contesti caratterizzati da disimpegno.
Il regista del film, Arden Oplev, un cineasta rampante, è giunto in Italia con un solo film, Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor, del 2009), assai controverso per le sue scene esplicite, fra l’altro, di stupri, sesso orale e nudi integrali, e per i dialoghi che abbondano di riferimenti a bestialità, incesto, torture e altre piacevolezze. La violenza – sessuale e non – del film è stata definita ‘estremamente brutale e disturbante’ [nota 5].
Per tornare a Worlds Apart, comprensibili i ‘salti di gioia’ degli apostati, si diceva. Meno comprensibile è la smania di fare pubblicità ad un prodotto senza prima preoccuparsi, non si dice del suo valore artistico, ma almeno della veridicità e credibilità dei fatti narrati. Questo articolo costituisce, se si vuole, una recensione critica, ma anche etica, del film, a beneficio di quanti si illudano di evincere da esso una opinione plausibile dei testimoni di Geova.
Molto sommariamente la trama: Sara, diciassettenne testimone di Geova e zelante predicatrice, sembra condurre un’esistenza serena e quasi piacevole fin quando conosce ad una festa un ragazzo non credente, Teis, che se ne innamora ricambiato. Dopo un colloquio con gli anziani della sua congregazione è indotta a separarsene. In seguito Teis, a sua volta, decide di interessarsi della religione di lei della quale prende a frequentare le riunioni cristiane. In breve tempo Teis dichiara comunque di non riuscire a condividere le sue credenze. Sara (che nel frattempo aveva iniziato a convivere con Teis) viene disassociata per immoralità, rifiuta apertamente di rientrare nelle file dei testimoni di Geova, e nelle scene finali, dopo aver lasciato anche Teis, si prova ad iniziare una nuova vita. Altri particolari sulla trama si possono evincere nella prosecuzione della lettura di questo articolo.
Estetica e valore oggettivo
Su Internet e altrove è piuttosto arduo rintracciare recensioni di Worlds Apart, e il motivo risiede nella sua limitatissima diffusione: in pratica è stato proiettato solo nel nord Europa, specialmente nel paese originario, la Danimarca (ove gli attori, da noi degli illustri sconosciuti, godono di una loro piccola notorietà), e in qualche sala degli USA (pare solo a New York e Los Angeles). Fra le poche opinioni disponibili spiccano quelle negative: secondo Jamie Rich, per esempio, il film è una ‘storia complicata’ che diviene anche ‘un po’ maldestra verso la fine’ [nota 6].
Misteriosamente candidato dalla Danimarca per la nomination all’Oscar per il miglior film straniero, Worlds Apart non ha superato neanche le selezioni iniziali, e non stupisce davvero: piatto e patetico, il lungometraggio è infarcito di retorica spesso davvero di bassa lega, da teleromanzo sudamericano; si nuota letteralmente in un mare di lacrime, dal “commovente” incontro fra Sara ed il suo fratello ex-testimone di Geova, a quella del riavvicinamento con la madre separata; piange (da coccodrillo) il padre quando confessa la scappatella che originerà la separazione coniugale; lacrime al battesimo iniziale e lacrime al plumbeo funerale conclusivo; lacrime sotto la pioggia battente nell’incontro in cui Sara, applicando pedissequamente le stonate indicazioni del padre, vorrebbe mollare Teis; lacrime nel successivo riavvicinamento, quando lei trova la forza di “affrancarsi da Geova” e di tornare dal ragazzo, valoroso frantumatore di mistici tabù; l’ennesimo piagnisteo bagna lo stucchevole, quanto gratuito, distacco finale fra i due innamorati; e, sommersi fino al collo, siamo certi di non ricordarle nemmeno tutte. Astenersi accuratamente, se si è allergici al genere strappalacrime: ma anche in caso contrario, si consiglia di orientarsi verso qualcosa di meglio, visto che la noia interviene molto prima che siano trascorse le due ore di durata della ‘pizza’ (in tutti i sensi). Ciò è dovuto non solo alla debolezza del soggetto, che, dopo averci informato che i due staranno insieme malgrado il dio babau dei testimoni di Geova, in pratica non ha più nulla da raccontare, e tenta di recuperare l’attenzione inanellando una serie di colpi di scena illogici (si veda l’ultima parte di questo articolo); ma anche alla cornice, ovvero al suo essere ambientato in un contesto talmente peculiare (per giunta effigiato con scarso realismo e ancor meno onestà) da risultare poco interessante per tutti, come puntualmente dimostrato dai magri incassi.
Non mancano incoerenze e buchi di sceneggiatura. A parte la confusione etica che sarà documentata in una successiva sezione, un caso evidente è costituito dal personaggio di Thea, l’amica / complice, per buona parte della storia, di Sara. All’inizio sembra intenzionata a trascinare Sara fuori della ‘setta’, proponendole delle alternative ad una esistenza lugubre da testimone di Geova compassata, poi si scopre che è stata proprio lei a tradirla allo scopo di farla aiutare dagli anziani. Un tipo del genere appare decisamente lontano da qualsiasi rispondenza al vero.
Di fatto o uno vive ai margini del gruppo, e cerca di incoraggiare altri a fare lo stesso, o ha le spalle tanto robuste da invocare l’aiuto di pastori spirituali per un amico in difficoltà (ma in tal caso non si spiegherebbe la sua partecipazione segreta a festini ad alto tasso alcoolemico). Una commistione dei due generi sarebbe priva di ogni verosimiglianza, eppure è proprio ciò che Arden Oplev & c. intendono gabellare. Anche l’emancipazione di Sara, che per tre quarti del film appare abile e sicura di sé (veniamo a sapere che ‘parla con il cuore’, e decide di darsi ad una carriera da evangelizzatrice full-time), viene fatta coincidere troppo tempestivamente con la scoperta del sesso per apparire dignitosa o anche solo credibile.
In definitiva un’opera marginale, a essere gentili, della quale il massimo che si può dire è di essere ben interpretata dai due attori principali, tanto convincenti quanto ignari – probabilmente – di essere asserviti ad un copione balordo.
Ideologia
Il tallone d’Achille di Worlds Apart è indiscutibilmente la premessa ideologica: non si può pensare di raffigurare in modo realistico un ‘sistema’ assumendo unicamente il punto di vista di qualcuno che vi è schierato in aperta contrapposizione. E invece è proprio quanto accade. Il film costringe di fatto lo spettatore ad indossare le lenti deformanti dei fuoriusciti dissidenti, dei quali appoggia senza riserve quasi tutti i tòpoi. Naturalmente ciò è lecito: purché non si pretenda di ricavarne una descrizione di qualche affidabilità. L’immagine offerta dei testimoni è impregnata di umore nerissimo; verso l’inizio la famiglia sembra vivere barlumi di felicità (Sara e i suoi fratelli si rincorrono e giocano col padre), ma è solo un specchietto per le allodole. Per tutto il film soprattutto i giovani fedeli di questa religione, fatta eccezione per l’amica ‘trasgressiva’ della protagonista, Thea (che però farà una brutta fine), sono fatti passare per seriosi e asociali, anche ricorrendo ad un montaggio alternato (mentre Sara s’incammina, sconsolata, in predicazione, si inquadra un gruppo di ragazzi che giocano a palla nel parco) da Eizenstein [nota 7] dei poveri. Non vi è nemmeno l’ombra del tentativo di documentare quella parte di testimoni felici e perfettamente integrati nel proprio contesto, che ne costituiscono poi la stragrande maggioranza.
Nella migliore tradizione apostata, il film propina grossolane caratterizzazioni di cose, persone e idee tagliate letteralmente con l’accetta; la realtà è ritratta in vigoroso contrasto cromatico: i tdG, spenti e bidimensionali, sono in ‘bianco e nero’, il resto del mondo è ‘colorato di rosa’. Ai TdG sono attribuite una personalità fragile e psicologie elementari e anguste; la protagonista, per esempio, è impacciata (ma neanche troppo inibita, come si scoprirà) nelle sue reazioni agli approcci dall’altro sesso, e difetta di convinzione nello spiegare e provare le sue credenze.
Il tono delle scene girate nella sala del Regno è cupissimo, quasi spettrale: più che a delle normali adunanze pare di assistere ad altrettante veglie funebri. I mezzi espressivi sono i più banali, quelli che si imparano alle prime lezioni delle accademie per cineasti in erba. La casa della famiglia tdG è buia e triste (in contrasto con l’appartamento dell’amico Teis, luminosissimo). Gli esterni non sono molto meglio: nelle sequenze all’aperto, riprese per lo più nel tardo pomeriggio, di sera o di notte, prevalgono i toni scuri ed il maltempo spadroneggia. Si vuole evidentemente trasmettere la sensazione di una insistita e ossessiva mestizia che lo spettatore ingenuo dovrebbe associare, anche nel subconscio, al mondo dei tdG.
I dialoghi sono regolarmente conformati a tali preconcetti: gli attori che interpretano ruoli da testimoni di Geova esibiscono per lo più un linguaggio anonimo e spersonalizzato; i bambini, ovviamente plagiati alla milionesima potenza, si esprimono ripetendo a pappagallo frasi standard ‘teocratiche’ mandate a memoria. L’insulso genitore, alle richieste di diversivi da parte della figlia, risponde sistematicamente con una pilatesca lavata di mani: “è una tua scelta, ma a me non sembra una buona idea”; in un’altra scena, con una espressione rassicurante come una danza tribale di cannibali, dice a Sara della quale ha appena scoperto la tresca: “ti amiamo tanto.
Vogliamo solo il meglio per te…”.
Il personaggio del padre/genitore, decisamente negativo, merita una menzione speciale: un uomo mediocre e ottusamente inquadrato nelle logiche impietose dell’Organizzazione, con una persistente aria da ebete, più interessato alla ‘carriera’ da anziano che al bene dei figli, che all’inizio (tanto per completare il quadro con un’altra pennellata di squallore) scopriamo persino adultero. La madre invece diventa, specie nella seconda parte, un soggetto positivo, ‘aperta’ ai capricci di libertà della figlia delle cui evasioni finisce col diventare complice consapevole, e, soprattutto, ‘sanamente apostata’ (anche lei comincia a esprimere dubbi sulla propria fede).
Accuratezza
Abbiamo congetturato che il regista e lo sceneggiatore abbiano attinto a testimonianze di fuoriusciti, e non ci è servito particolare acume, dato che, come si è visto, il film è decisamente allineato alla forma mentis degli apostati. Per quale motivo ciò che vediamo sullo schermo abbondi di errori rimane comunque un mistero. Nel suo sfoggio dell’intera gamma possibile di inesattezze, da imprecisioni di poco conto a svarioni davvero marchiani, che saltano all’occhio con estrema facilità, il film è un vero festival dell’approssimazione, tanto che, se fosse conosciuto al grande pubblico, costituirebbe un invito a nozze per i cacciatori di goofs [nota 8]. In alcuni casi il film riflette metodi, parole e attitudini dei testimoni di Geova di almeno 30 anni fa, tanto da lasciar immaginare che Arden Oplev & C. debbano essere stati ‘edotti’ da qualcuno che è stato disassociato ai tempi della guerra fredda; altrove le soluzioni visive appartengono decisamente al mondo della fantasia [nota 9].
Si inizia subito col piede sbagliato: il film apre con la scena del battesimo della sorella di Sara, nella quale la candidata indossa una ‘angelica’ e lunghissima vestaglia bianca tipo chierichetto alla recita di Natale. Le indicazioni della Società sono quelle di un normalissimo costume da bagno [nota 10]. Qui veniamo subito a conoscere una presenza ricorrente della vicenda, un supposto anziano di congregazione, caratterizzato come un ‘bel tenebroso’ con la barba di due giorni e i capelli lunghi [nota 11] che ricorda Chuck Norris [nota 12]: dopo averlo visto all’opera come immersore al battesimo, lo incontriamo di nuovo in numerose altre scene, come sorvegliante della scuola teocratica, spietato presidente di udienza giudiziaria, premuroso autore di visite pastorali a domicilio e ‘urlatore’ da assemblea di distretto. Nelle scene in cui insegna da un podio lo fa, chissà perché, con cravatta e camicia a mezze maniche (nonostante il tempo quasi sempre inclemente) ma senza quasi mai indossare la giacca: infatti il film, per paradosso e per chiara ignoranza, mentre in prevalenza dipinge i tdG come dei fanatici, altrove li lascia apparire meno attenti alla forma di quanto non siano in realtà.
Questo preteso anziano, che da qui in poi chiameremo appunto Chuck Norris, fa discorsi pessimisti attingendo a termini desueti come ‘persone del mondo’, che i tdG (specie nell’insegnamento pubblico) hanno abbandonato da tempo immemore. In tutto il film comunque si adopera un frasario obsoleto, quando non inventato di sana pianta, tipo la ‘solitudine dell’anima’, ‘retta via’, ‘lasciate che i peccatori si redimano’, ‘diffondere la parola’, ‘la fornicazione offende la purezza di Geova’, ‘segui la spada del Re’ eccetera. Espressioni spesso estranee anche alla versione biblica usata dai testimoni (la ben nota Traduzione del Nuovo Mondo), la quale per giunta, né nel corso di tali sermoni evangelici, né altrove, viene mai usata: la vediamo spesso, ma nessuno sembra preoccupato di leggerla.
Durante la prima adunanza veniamo a sapere che ‘il fratello Dahl’ (il papà di Sara), dopo aver tradito la moglie, ‘si è dimesso da anziano’. È discutibile che il colpevole di un tradimento coniugale possa cavarsela con le dimissioni, ma c’è di sicuro che un annuncio del genere non verrebbe fatto in questi termini: ci si limita a dire che la persona non presta più servizio come anziano [nota 13].
In un’altra scena che si svolge in un negozio d’abbigliamento, i due attori principali incontrano Jonas, che Sara presenta come proprio fratello maggiore. Jonas è disassociato. Da qui in poi il film comincia davvero a dare i numeri, sparando una raffica di assurdità inqualificabili:
Jonas sarebbe stato disassociato perché “ha letto un libro sbagliato” (tipo? ‘Eva e il serpente, tutti i retroscena’???) e perché, sibillinamente, “ha contraddetto gli anziani”;
Sara non è in possesso dell’indirizzo del fratello, e lo ottiene solo in seguito a questo incontro casuale (si vorrebbe lasciar credere che i genitori si disinteressino del tutto del destino dei propri figli solo perché non più tdG);
poco dopo Sara sente il bisogno di giustificare a Teis il fatto di aver salutato Jonas, proprio fratello, dicendo di averlo fatto solo perché in presenza d’altri. Ciò è assolutamente fasullo: non esiste alcuna preclusione al saluto per i consanguinei, che vivano o meno sotto lo stesso tetto, come non esiste per i necessari rapporti familiari [nota 14]. Questa idiozia peraltro è somministrata a più riprese nel film, anche verso la fine, quando Sara, a sua volta disassociata per aver ‘contraddetto gli anziani’ – è proprio una fissazione – viene accolta a pesci in faccia dai fratelli minori;
quando Jonas va a trovare la propria madre, il fatto deve rimanere nascosto al padre (e perché mai?);
nella chiacchierata seguente Sara dice che ad HarMaghedon saranno tutti distrutti tranne i tdG, una presunzione estranea al loro credo. In una inquadratura invero assai odiosa, un Teis accigliatissimo punta il dito contro un bimbo chiedendo ‘anche lui sarà distrutto’? I tdG non si fanno giudici degli altri e certo non possono decidere del destino di alcuno, men che mai di un infante [nota 15].
quando il ragazzo, in un successivo incontro, decide per curiosità (e malgrado le predette riserve) di conoscere i testimoni di Geova, scopre che ‘il sesso è vietato’ (senza se e senza ma?), ‘gli anziani non si contraddicono’ (aridaje!); i tdG muoiono, e fanno morire, perché rifiutano il sangue (non si accenna minimamente alla miriade di alternative disponibili alla terapia trasfusionale) e altri spropositi.
Ulteriori vaneggiamenti, a causa della loro enormità, vengono suggeriti senza il coraggio di dichiararli esplicitamente: i tdG non stanno al passo con la tecnologia: non usano il telefonino, ‘i telefoni tradizionali hanno funzionato benissimo per anni’; in un dialogo di raro pressapochismo si lascia credere che non guardano la televisione, ‘papà ci fa usare solo il videoregistratore’ (nutrito rigorosamente a VHS della Watch Tower, mi raccomando); la mamma, separata, che ha comprato la TV e nel frattempo sta ‘provvidenzialmente’ aprendo gli occhi sulla propria religione, sentenzia ‘non è poi così pericolosa’.
Nella grottesca scena del comitato giudiziario è tutto sbagliato: sullo sfondo di un minaccioso cielo paonazzo che si staglia da una finestra laterale, si consuma un dramma a metà strada fra il trash pallonaro e la spy fiction di quart’ordine:
il solito Chuck Norris e altri due anziani, tutti rigorosamente scravattati, scortano Sara in una stanza; dietro di loro terrificanti porte stile ‘braccio della morte’ si richiudono rumorosamente;
il padre viene lasciato fuori; in un’udienza giudiziaria che coinvolge un figlio che vive sotto lo stesso tetto, e per di più minore, sarebbe immancabilmente presente [nota 16];
si dice che il fatto che la Sara abbia dormito in casa di un ragazzo sia di per sé ‘causa di disassociazione’: totalmente falso; solo l’atto sessuale può esserlo e sempre che non vi sia una sincera presa d’atto dell’errore commesso. Invero, nelle circostanze evocate dal film non sarebbe formato nemmeno un comitato giudiziario [nota 17];
alla fine ai tre anziani basta un cenno d’intesa, tempo tre decimi di secondo, per decidere sia della sincerità dell’ “accusata”, che della sentenza: nessuna disassociazione. Non si prendono nemmeno il disturbo di discutere in separata sede degli esiti. Udienze-farsa così condotte, per fortuna in primis dei trasgressori, non esistono se non nella fantasia del regista Arden Oplev e dei suoi collaboratori [nota 18];
Sara viene perdonata a condizione che scriva una lettera al moroso, con la quale gli comunicherà di troncare ogni legame con lui: altro particolare immaginifico e senza nessun rapporto con la realtà (sembra un curioso adattamento della procedura impiegata quando ci si dissocia da una religione della cristianità per diventare testimoni).
Successivamente la ragazza, in un salubre rigurgito di spiritualità, propone al padre di ‘lasciare la scuola’ (dal contesto del film è chiaro che si tratti delle scuole superiori) per fare la pioniera regolare [nota 19], una prospettiva che manda costui in visibilio. La cosa è ripetuta spesso nel film, per esempio nella successiva scena dell’assemblea, nella quale Sara viene intervistata e vuota subito il sacco, spiattellando comicamente tale risoluzione a mo’ di biglietto da visita (“Ciao! Mi chiamo Sara e ho deciso di interrompere gli studi…”). Dispiace deludere di nuovo gli oppositori, ma è proprio il contrario di quanto la Società consiglia, e sin da molto prima dell’uscita del film [nota 20]. Peraltro, se è bizzarro che la ragazza, dopo tanto patire, decida di fare domanda di pioniera regolare, ancora più bizzarro è che tale domanda venga accettata, considerato che, come ci racconta la storia, Sara ha appena subito un comitato giudiziario.
Ancora un’adunanza, con apparizione a sorpresa di Teis, e ancora stranezze a volontà; dopo un cantico Chuck Norris pronuncia una preghiera di otto secondi, dicansi otto, durante la quale nemmeno uno degli irriguardosi presenti abbassa il capo. Teis comunica la sua intenzione di conoscere la religione dei testimoni di Geova, e a quel punto alla ragazza viene concessa, ipso facto, licenza di frequentarlo a patto che non diventi ‘intima con lui’. Dopodiché i due, in pratica, prendono a stare insieme e a convivere apertamente. Lasciamo a chi è tdG, o conosce bene la loro realtà, ogni giudizio sulla attendibilità di questo percorso narrativo.
A tre quarti dell’opera assistiamo ad una assemblea a dir poco stravagante, tenuta in un prato, nella quale il povero Teis e centinaia di altre persone sono costretti a sedere per ore, chissà perché, direttamente sull’erba. Il modo in cui viene raccontato il ‘discorso con interviste’, se così si può definire, con l’onnipresente Chuck Norris che si produce in movenze e strilli da predicatore televisivo e gli intervistati che sembrano improvvisare le risposte, è quanto mai improbabile e indifendibile nelle sue pretese di riscontro, per tacere di altri particolari, dalla mancanza di qualunque impianto di amplificazione, agli striscioni da stadio e ai cantici fasulli, che come altrove nel film sono scimmiottati da quelli reali (per non fare i conti con problemi di copyright [nota 21]).
L’etica del film
TdG: maneggiare con cura, sono più pericolosi di quanto sembrano. Questo è quanto pare vogliano dirci gli autori. Quali sono allora i ‘valori’ che il film propone in alternativa?
Il film insegna la ‘virtù’ dell’omologazione. All’inizio per esempio Sara dovrebbe sentirsi frustrata perché non partecipa ad un compleanno. La lezione è l’incoraggiamento a vergognarsi dei propri valori religiosi e ad adeguarsi ai compagni, ai teenagers, del cui modus vivendi ci vengono ricordati gli aspetti più vieti e superficiali (fra baci francesi, slang postsessantottino con perle tipo ‘sei un figo’ e trasgressività di maniera)
Per tutta la durata della visione il disprezzo per i valori religiosi, dei tdG (ma verrebbe da dire in generale), è palese. Thea, tdG fredda, definisce ‘secchioni’ i tdG che frequentano le adunanze e ‘non fanno mai niente di sbagliato’ (sic) e celebra il comportamento dei ‘tdG che violano tutte le regole’ e di quelli, più furbi, che ‘provano qualche cosa senza parlarne troppo’. Quando la protagonista dichiara a Teis la propria appartenenza ai testimoni di Geova, lui fa tanto d’occhi, come se le avesse confessato d’essere affiliata al Ku Klux Klan, e definisce ‘str***ate’ le sue credenze su Harmaghedon (salvo pentimenti postumi). Il rifiuto di partecipare ad un brindisi è accompagnato da una sonora risata. Nel film l’opera di predicazione è ridotto a banale ‘volantinare’; i testimoni sono ‘una setta’, ‘un gruppo senza istruzione che crede nella fine del mondo’, agli aderenti viene fatto ‘il lavaggio del cervello’ e via di questo tristissimo passo, di luogo comune in luogo comune.
Punto cruciale delle storia è quello in cui la ragazza si reca ad una festa tenuta in una casa privata, nella quale un locale è stata arredato a uso di dancing. Fra misteriosi intrugli color rosso come il peccato, fumo a josa, psichedelia illuminotecnica e musicale, turpiloquio assortito e ragazzi incontrati casualmente in chat, il tutto è un bel celebrare il peggio della new generation. Chissà quanti genitori, tdG e non, sarebbero lieti che i propri ragazzi passassero anche solo un quarto d’ora in siffatti contesti; il buffo è che certi apostati che sono genitori, con ‘grande senso di responsabilità’, sui forum anti-testimoni di Geova hanno raccomandato la visione della pellicola ad altri genitori. A proposito, Sara (evidentemente non abituata ai superalcolici) continua a bere, peraltro miscelando drink di vario genere, anche quando è già visibilmente su di giri. Alla fine ha un malore e vomita pure gli occhi in una scena ”romanticissima” con il ragazzo che cavallerescamente le regge la fronte. Sarebbero dunque questi i frutti della sua evasione? Bel risultato…
Questa ambiguità concettuale in Worlds Apart, ossia il non capire dove regista e sceneggiatori vogliano andare a parare, cosa sia da condannare e cosa da salvare e contro chi o cosa dobbiamo stare in guardia, ricorre variamente nel film. Il sesso occasionale per esempio viene acclamato come una rivelazione e un atto liberatorio. Naturalmente ciò non rende la pellicola meritevole di maggior biasimo della media delle altre cineproduzioni; il problema è che Arden Oplev sembra avere poche idee e ben confuse su come, in un film a tesi, si rende positivo un concetto agli occhi del pubblico. Nella scena in cui Sara perde il treno ed è così costretta a dormire in casa di Teis, questi prima le fa la promessa di rispettarla, poi sembra poco deciso a mantenerla e comincia a baciarla e sfiorarla. Si scopre il mattino dopo che i due hanno ‘pomiciato’ in casa della ragazza di lui (che sia ancora la sua ragazza attuale, oppure no, non verrà mai chiarito). Quest’ultima arriva senza preavviso e, come nelle commediacce all’italiana, li scopre ‘per caso’ a dormire insieme. Teis, peraltro, non smentisce l’insinuazione di Sara di cercare di ‘rimorchiarla’ (un particolare importantissimo: la ragazza è minorenne). Sembra proprio che lui, che si propone come la ‘risposta gggiovane’ al polveroso mondo di Geova, non sia poi un tipo troppo raccomandabile. E la prova arriva poco oltre: una volta iniziato a studiare coi testimoni di Geova, Teis riesce a convincere Sara ad un rapporto sessuale. Qualche tempo dopo l’amplesso le rivela di non condividere le sue credenze e riconosce di aver solo finto un interesse religioso. Ed in considerazione della scena precedente, è sintomatico chiedersi: con quale vera finalità?
Altro ‘nobile valore’ rifilato dal film è quello della menzogna e della doppia vita. Dopo la festa, Sara mente al papà, dichiarando di aver bevuto pochissimo. Mente – e chiede all’amica del cuore di mentire per lei – sia al padre che ai suoi fratelli sulle frequentazioni col ragazzo. Mente al comitato giudiziario, dicendo di non aver dormito nello stesso letto con Teis. Quando decide di andare a vivere con Teis, mente al padre dichiarando di trasferirsi dalla madre (e ottiene la complicità di quest’ultima, che a sua volta tiene la circostanza nascosta al proprio marito). Mente alla sorella che, sopraggiunta a sorpresa in casa della madre, scopre l’inganno organizzato dalle due donne. Ricorre a mezzucci quasi comici per nascondere la ‘fuitina’ con Teis agli occhi dei suoi confratelli, come l’approntare un letto ad una sola piazza da mostrare ai più curiosi (espediente che si rivela inutile persino con il padre tonto). Infine mente ai due anziani che vanno a trovarla, arrivando a negare l’evidenza. L’idea di mentire sistematicamente e spudoratamente, a quanto pare, viene sdoganata come raccomandabile.
The end: una assurdità tira l’altra
Alla fine comunque la ragazza viene disassociata, tra l’altro senza nemmeno l’ombra di una notifica, da parte di un corpo di anziani che è evidentemente a digiuno della corretta procedura [nota 22] (non è che l’ennesimo errore degli autori del film, ma ormai non ci facciamo più caso). Prima della solita preghiera telegrafica, apprendiamo dell’espulsione di Sara e della ri-nomina del ‘padre snaturato’ come anziano [nota 23], il quale ha finito col preferire i privilegi di servizio alla voce del sangue; tutto sembra incamminarsi verso i binari della prevedibilità e attendiamo una specie di happy ending consolatorio, magari con un bel dieci anni dopo… e i nostri spregiudicati eroi ben pasciuti e con prole.
E invece Arden Oplev ci riserva altri colpi bassi: come nei peggiori melodrammi, i due ‘fornicatori’ si lasciano senza alcuna motivazione plausibile (scopriremo infatti che lei ha deciso di non essere più tdG a prescindere); in una delle ultime scene vediamo Sara, ormai perfettamente omologata alla mentalità dei fuoriusciti dissidenti, che di nascosto dal padre cerca ‘con grande coraggio’ di inoculare la larva del dubbio nel fratellino; l’amica fedifraga Thea muore in un incidente stradale dopo aver rifiutato addirittura una emotrasfusione salvavita – scelta quanto mai improbabile da parte di ‘un tipo da spiaggia’ come lei, smaniosa di discopub e ragazzi conosciuti su Internet – e le viene dedicato un funerale in cui tutti (di nuovo in dispregio totale delle abitudini dei testimoni), compresi i bambini, vestono di nero; il fratello maggiore Jonas, apripista dell’apostasia familiare, decide a sorpresa di rientrare fra i tdG affidandosi ad un pentimento di facciata – ennesimo elogio dell’ipocrisia – ma la sorella non segue il suo esempio.
L’epilogo ci mostra il papà di Sara porgerle un ramoscello d’olivo (anche se dichiara, utilitaristico, di voler più bene a Geova che a lei perché ‘gli darà la vita eterna’), dicendosi disposto a riaccoglierla in famiglia se abbandonerà le sue pretese di ‘indipendenza’ a base di seduttori di minorenni e sbornie colossali; ma lei, sdegnosa, gli risponde picche; e mentre la vediamo allontanarsi a bordo di un treno catartico, avendo perduto fidanzato, studi, sostentamento economico, affetti familiari, religione, amicizie e serenità, sola con il suo proverbiale pugno di mosche, e ormai atea o giù di lì, ci domandiamo allibiti se i testimoni di Geova (dubbiosi e no) abbiano realmente bisogno di esempi come il suo. E se ne abbia bisogno chiunque altro.
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Note in calce:
[nota 1] In tutte le citazioni l’uso del grassetto è degli autori del presente articolo e assente nelle fonti originali. Il Ministero del Regno, Pascete il gregge di Dio, Mantenetevi nell’amore di Dio, I testimoni di Geova nel ventesimo secolo, I giovani chiedono – risposte pratiche alla loro domande e La Torre di Guardia, sono editi dalla Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania e, in Italia, dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova. Pascete il gregge di Dio è una pubblicazione riservata agli anziani di congregazione e non disponibile al pubblico.
[nota 2] Il film è fruibile in streaming sul Web, anche con sottotitoli in italiano (offerti ‘ovviamente’ da solerti apostati speranzosi di donargli in questo modo una qualche notorietà). Il presente articolo si basa su tale versione sottotitolata. Si avvertono i lettori che fossero intenzionati a guardarlo – ove mai ce ne fossero – che esso contiene degli spoilers, ovvero anticipazioni sul finale del film, che potrebbero rovinarne (?) la visione.
[nota 3] Un esempio è il poco noto Delitto di coscienza (Life for Ruth, GB 1962, di B.Dearden).
[nota 4] Ad esempio in Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios, Spagna 1988, di P. Almodovar), Così è la vita (Italia 1998, di Aldo, Giovanni e Giacomo e M.Venier), Le buttane (Italia 1994, di A.Grimaldi), L’aereo più pazzo del mondo (Airplane!, USA 1980, di J.Abrahams, D.Zucker, J.Zucker),
Le parole che non ti ho detto (Message in a Bottle, USA 1999, di L.Mandoki).
[nota 5] Vedi: http://www.imdb.com/title/tt1132620/parentalguide .
[nota 6] Vedi: http://confessions123.blogspot.com/ . Anche la rinomanza internettiana è modesta: su IMDB, il più lungo e completo dizionario dei film esistente, alla data del presente articolo aveva superato appena il migliaio di votazioni, surclassato non solo (com’è ovvio) dalle megaproduzioni, ma anche dalle nostre ‘glorie nazionali’, poco note all’estero, come Matrimonio all’italiana.
[nota 7] Il celebre regista russo autore del classico La corazzata Potemkin (URSS, 1925), “immortalato” da Paolo Villaggio in un famoso episodio del film Il secondo tragico Fantozzi.
[nota 8] I goofs (detti anche bloopers) sono gli errori nei film. Solitamente di logica e di continuità spaziotemporale, possono essere anche di attendibilità.
[nota 9] Altra pellicola disseminata di inesattezze, oltre che riduttiva e parziale nel rappresentare i testimoni di Geova, è la più celebre Un mondo perfetto (A Perfect World, USA 1993 di C.Eastwood), il cui cast vanta la star Kevin Costner. Vi si dice tra l’altro che i testimoni crederebbero all’inferno e che i loro bambini non mangerebbero lo zucchero filato (il piccolo protagonista dice: “l’ho visto una volta in fotografia…”).
[nota 10] Cfr. a titolo di esempio Il Ministero del Regno del maggio 2001 pag. 6 § 9, ma indicazioni analoghe si trovano già da prima del 1970.
[nota 11] In certi blog si sostiene che tali particolari sarebbero verosimili, dato che la vicenda si svolge nel nord Europa, ove anche gli anziani porterebbero con disinvoltura barba e capelli lunghi. Non esiste, però, nelle pubblicazioni della Società (nei commenti o anche nelle illustrazioni, dove i tdG maschi di tutto il mondo sono sempre rappresentati con i capelli corti e senza barba) alcuna base per sostenere questa vera e propria invenzione. “Per gli uomini, l’aspetto ordinato può includere l’essere ben rasati” (Traete beneficio dalla Scuola di Ministero Teocratico, pag. 133). “Quando gli uomini della congregazione hanno parti da svolgere alle adunanze, dovrebbero fare in modo di essere debitamente rasati”. (Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, pag. 181). Entrambe le pubblicazioni citate hanno validità per i testimoni di Geova di tutto il mondo, compresa la Danimarca.
[nota 12] Attore americano della serie TV Walker Texas Ranger e di action movies di serie C degli anni ’80 .
[nota 13] Pascete il gregge di Dio, 5:26.
[nota 14] Mantenetevi nell’amore di Dio, pag. 208 § 3. Contrariamente a quanto si lascia credere nel film, i genitori possono anche decidere che il figlio disassociato, secondo le circostanze, viva in casa con loro, o vi sia riammesso nel caso che sia andato ad abitare altrove (Ministero del Regno agosto 2002, pag. 4 §§ 9-11). Con tutta la prudenza del caso, come si raccomanda; ma è solo naturale, considerato che costui, essendo per definizione un peccatore impenitente, potrebbe costituire un’influenza corruttrice per il resto della famiglia.
[nota 15] I testimoni di Geova nel ventesimo secolo, pag. 29: “[I testimoni di Geova] pensano forse che saranno i soli a salvarsi? No. Molti milioni di persone che sono vissute nei secoli passati e non sono state testimoni di Geova verranno risuscitate e avranno l’opportunità di ottenere la vita. Molte persone ora in vita possono ancora schierarsi dalla parte della verità e della giustizia prima della “grande tribolazione” e ottenere la salvezza. Inoltre, Gesù disse che non dovremmo giudicarci gli uni gli altri. Noi guardiamo l’aspetto esteriore, Dio guarda il cuore. Egli vede accuratamente e giudica con misericordia, e ha affidato il giudizio nelle mani di Gesù, non nelle nostre. — Matteo 7:1-5; 24:21” .
[nota 16] Pascete il gregge di Dio, 6:14.
[nota 17] ibid., 5:13.
[nota 18] ibid., 7:5.
[nota 19] Ovvero la predicatrice a tempo pieno. In tema di predicazione, il film appare curiosamente ottimista. Tutti i padroni di casa che vi si vedono sono gentili, e uno solo di essi si dichiara disinteressato. Uno dei protagonisti afferma, trionfante, di aver appena lasciato ‘7 libri e 21 riviste’, bottino davvero invidiabile per qualche ora di predicazione.
[nota 20] I giovani chiedono – risposte pratiche alle loro domande, capitolo 17: “Dovrei lasciare la scuola?”; si notino anche questi commenti negativi della Torre di Guardia del 1/11/92, pag. 18: “È stato riferito che in alcuni paesi molti giovani ben intenzionati hanno abbandonato gli studi per fare i pionieri dopo aver terminato la scuola dell’obbligo. Non avevano né un mestiere né un titolo di studio adatto. Se non potevano contare sull’aiuto dei genitori, hanno dovuto trovare un lavoro part-time. Per far quadrare il bilancio, alcuni sono stati costretti ad accettare lavori che li impegnavano moltissimo. Fisicamente esausti, hanno lasciato il ministero di pioniere”. Per una trattazione esaustiva del tema dell’istruzione scolastica, si veda la seguente pagina: I Testimoni di Geova e l’università: oscurantismo o libera scelta? .
[nota 21] A proposito di cantici, alle adunanze si scorge (un po’ nascosto) un valente ‘fratello pianista’ che accompagna i presenti suonando dal vivo.
“Troppa grazia, Sant’Antonio”: i tdG usano registrazioni audio da secoli.
[nota 22] Pascete il gregge di Dio, 7:26-29.
[nota 23] Annunci del genere non vengono fatti verso la fine dell’adunanza, come ci viene fatto credere. Ma la vera incongruenza di questo passaggio del film è un’altra: è inconcepibile che venga annunciata la disassociazione della figlia di un testimone di Geova, e che quest’ultimo sia nominato anziano di congregazione addirittura nella stessa sera. Una condotta poco esemplare come quella di Sara si rifletterebbe irrimediabilmente sui privilegi di servizio dei genitori (Pascete il gregge di Dio, 3:15).