I TESTIMONI DI GEOVA E LA SALUTE MENTALE
Appendice B
Commento e sintesi dell’articolo “Lo studio dei nuovi movimenti religiosi con particolare attenzione alla salute mentale dei Testimoni di Geova”
Appendice B
Commento e sintesi dell’articolo “Lo studio dei nuovi movimenti religiosi con particolare attenzione alla salute mentale dei Testimoni di Geova”
L’articolo di cui si parla in questa pagina è la sintesi di uno studio condotto in Norvegia su iniziativa di Rolf Furuli dell’Università di Oslo, uno studioso testimone di Geova, e che è stato pubblicato sulla rivista Tidsskrift for Norsk Psykologforening, Periodico dell’Associazione degli Psicologi Norvegesi, nel mese di febbraio del 2001 (vol 38, pp. 123-128).
La pur sporadica esistenza di psicologi - e specialisti affini - avversi ai Testimoni non deve stupire più di tanto: non è che una delle tante manifestazioni del pregiudizio religioso, che trova caldeggiatori più o meno consapevoli in tutti i contesti (non escluso quello medico/scientifico). Per illustrare il punto si consideri questo esempio che risale al 2005 NOTA 1: ad un campione di 750 psicologi dell’APA (American Psychological Association) presi a caso fu sottoposto un medesimo insieme di articoli selezionati da pubblicazioni dei testimoni di Geova che trattavano l’argomento dell’educazione dei bambini. Gli psicologi erano stati preventivamente suddivisi in tre gruppi: 1) informati della fonte degli articoli (e cioè i testimoni di Geova, appunto); 2) informati solo in parte; 3) totalmente all’oscuro sulla fonte degli articoli. Gli psicologi espressero in generale un parere assai favorevole dei consigli letti, a parte alcune riserve per taluni argomenti (come il sesso prematrimoniale). La vera rivelazione dello studio fu però il constatare come il consenso più basso fosse riscontrabile nel gruppo 1, ovvero di quegli psicologi che sapevano che i consigli sull’educazione dei figli erano stati prelevati da libri e riviste della Watch Tower Society. L’episodio citato è dunque ben più di un aneddoto, ed è emblematico nella misura in cui dimostra come anche nei ‘circoli dotti’ possa far capolino la prevenzione, che poi era il vero obiettivo dell’indagine.
Qualcosa di simile dev’essere accaduto nel caso di uno psicologo norvegese, che aveva messo in vendita su Internet una serie di articoli su testimoni di Geova, nei quali aveva profuso in abbondanza informazioni fasulle e viziate da chiaro preconcetto. Contestualmente aveva annunciato che avrebbe pubblicato un articolo sul periodico ufficiale della Norwegian Psychologist Association. Fu allora coinvolto il fratello Furuli, che non aveva competenze dirette nel campo ma che era ed è piuttosto conosciuto nell’ambiente universitario scandinavo, e gli fu chiesto se fosse possibile effettuare qualche ricerca sull’argomento.
Il fratello Furuli suggerì che fosse predisposto un articolo da pubblicare sul medesimo periodico in risposta all’articolo dello psicologo contrario ai Testimoni. Ironia della sorte, mentre questo secondo articolo fu effettivamente pubblicato, quello dello psicologo oppositore fu invece respinto dalla redazione della rivista specialistica. Del resto l’articolo realizzato da Furuli in collaborazione con due conservi cristiani, uno psichiatra ed uno psicologo entrambi anziani di congregazione, non aveva solo intenti apologetici ma mirava anche a fare chiarezza su un argomento che costituisce la terra franca della disinformazione. Con la possibile eccezione di un trattato americano (Pescor, 1949), considerato però obsoleto e discutibile nella metodologia, i rari ‘studi’, se così si possono definire, pubblicati sul tema, patiscono una base statistica irrisoria (54 testimoni per uno studio australiano, 50 per uno studio svizzero e 126 per uno svedese). Come si leggerà, Furuli e i suoi collaboratori proposero invece una analisi basata su di un campione statistico di 615 testimoni di 8 diverse congregazioni, delle quali 6 scelte a caso e altre 2 che un disassociato apostata aveva segnalato per il loro presunto tasso fuori soglia di malattie mentali. Le risultanze di tale studio additavano un tasso di anomalie mentali fra i testimoni di Geova sensibilmente più basso (dal 50 al 75%) di quello generale.
Il lettore apprezzerà forse, oltre alla sua obiettività, l’umiltà di fondo dell’articolo, di cui si propone di seguito un riassunto tradotto liberamente in italiano; gli autori sono i primi a evidenziare alcuni punti deboli della loro indagine, rivendicandone però al contempo un certo grado di affidabilità e di interesse. Come si è visto nell’articolo sulla salute mentale dei testimoni non v’è l’ombra di tale realismo negli scritti di Bergman, che pretende di trarre conclusioni apodittiche partendo da testimonianze oscure e da un congerie di dati sguarniti di qualsiasi riscontro documentale degno di tale nome. NOTA 2
Sintesi e traduzione dell’articolo norvegese
C’è molta disinformazione a proposito della salute mentale dei Testimoni di Geova, e lo studio in oggetto valuta alcuni articoli su tale materia.
Studio svedese di G.Rylander (1946). Fu realizzato dall’autore, che era anche un prete; il vocabolario utilizzato tradisce un forte preconcetto. NOTA 3
Studio americano di M.J.Pescor (1949). La metodologia adottata è dubbia da un punto di vista moderno, e infatti il tasso estremamente elevato di malattie mentali fra giovani non testimoni (in un gruppo addirittura il 61,4%) lascia pensare che i criteri utilizzati siano del tutto inusuali.
Studio svizzero di J.von Janner (1963). Non si tratta di uno studio sistematico, ma solo di un rapporto che si poneva l’obiettivo di risolvere il problema dei giovani costretti ad andare in carcere per il rifiuto del servizio militare. Quando il medico militare stabiliva che essi avessero problemi mentali, anche se non era vero, i giovani testimoni non erano più chiamati a svolgere il servizio militare.
Studio australiano di J.Spencer (1975). Ci sono difetti metodologici in questo studio. Se il numero di testimoni in ragione della popolazione dell’Australia occidentale che lo studio fornisce è corretto, i calcoli di Spencer indicherebbero un tasso di malattie mentali fra i Testimoni più basso che nel resto della popolazione. NOTA 4
Articolo di J.Montague (1977). Il nome è uno pseudonimo, e Montague è Jerry Bergman, che cita Montague senza dire che è la stessa persona. Egli asserisce che la percentuale di malattie mentali fra i testimoni è fra il 10 ed il 16% più elevata che nella popolazione in generale. Secondo Bergman, questa conclusione sarebbe basata sulle ricerche da lui stesso condotte in ospedali psichiatrici dell’Ohio e del Michigan. Tuttavia, tale ricerca non è mai stata documentata. Egli non fa riferimento ad alcuno studio del genere nel sua curriculum vitae o nella bibliografia, e stando alle testimonianze che egli stesso ha reso in occasione di due processi, tali studi non esistono affatto (Townsend v. Reyes, corte distrettuale della contea di Taylor, 326 circuit No 6936-C, 06-12-88 e R. A. Peter v J. M. Pater, Appeal No. C-8909553, Corte d’Appello dell’Ohio).
Per quanto ne sappiamo, fatta eccezione per lo studio norvegese menzionato in questo articolo, non è stato mai condotto alcuno studio sulla salute mentale di un campione casuale di testimoni di Geova. Da notare che quando si afferma che uno studio non è scientifico, s’intende che esso non soddisfa i criteri necessari per uno studio che sia all’altezza di una dissertazione accademica, e non necessariamente che vi siano delle anomalie di metodo.
In Norvegia un ex-Testimone, J.Wilting, scrisse il libro “The Kingdom that did not Come” (1992). In questo libro afferma che il 70% dei membri delle congregazioni nelle quali era stato avevano problemi mentali, e che il 50% di essi erano in cura a causa dei tali problemi. Queste dichiarazioni furono approfondite, e i paragrafi che riguardano lo studio norvegese sono tradotti di seguito:
“Le due congregazioni della contea di Telemark dove Wilting era stato consistevano di 94 membri. Uno di noi (Furuli 1993) ha visitato queste due congregazioni ed ha intervistato 73 dei loro membri, mentre due altri anziani, con la collaborazione dei rimanenti 21 membri, hanno raccolto le risposte a tre domande principali che sono state poste. Il risultato è la seguente statistica, che copre l’intero arco della vita di ciascuno dei fratelli:
persone che era state curate in un istituto per malattie mentali o alle quali era stato diagnosticata la schizofrenia: due (il 2,13% del totale);
persone che per un periodo di tempo più o meno lungo avevano sofferto di una depressione tanto profonda da rendere loro difficoltosa la gestione del quotidiano: una (1,06%)
uso regolare di farmaci contro lo stress psichico: due (2,13%), che poi erano le medesime due curate nel centro mentale di cui al punto 1.
In aggiunta alle due congregazioni menzionate, è stata realizzata un’indagine sui membri attivi di altre sei congregazioni. In tutte e otto le congregazioni c’erano un totale di 615 membri adulti. Agli anziani fu chiesto di effettuare in ciascuna congregazione un’attenta analisi di ogni singolo membro per un periodo di 5 anni alla luce delle domande su citate. I risultati sono stati i seguenti:
curati in istituti per malattie mentali o con diagnosi di schizofrenia: 5 (lo 0,81% del totale);
problemi mentali: 24 (il 3,9%, inclusi i 5 di cui al punto 1);
uso sistematico di medicinali contro lo stress psichico: 40 (il 6,5%).
Questa indagine non pretende di essere scientifica, dato che solo il 12 per cento del campione è stato intervistato personalmente, e a nessuno è stato chiesto di fornire risposte scritte. Di solito sussistono rapporti calorosi e cordiali fra gli anziani e i fratelli; se una persona ha dei problemi, lui o lei di norma tenderà a ricercare l’aiuto dell’anziano, di modo che gli anziani conoscono bene i componenti delle congregazioni. Di conseguenza esiste qualche ragione di dubitare delle stime a proposito del numero di persone curate in istituti mentali e di quanti di essi avrebbero, o avrebbero avuto, problemi mentali. Anche la stima sull’uso di psicofarmaci potrebbe non essere completamente affidabile, perché non è un dato osservabile, e gli anziani rispettano la privacy dei membri delle congregazioni. Ma questa statistica fornisce comunque delle utili indicazioni.
Si calcola che tra lo 0,3 e lo 0,6 percento della popolazione soffra di schizofrenia. Nel periodo di sei mesi c’è una prevalenza di sindrome maniaco-depressiva dello 0,8% e nel periodo di 12 mesi una prevalenza di grave depressione del 7%. Il rischio di contrarre la schizofrenia durante la vita media di una persona è dell’1% e per la sindrome maniaco-depressiva è del 1,1% (Folkehelserapporten 1999 [“Rapporto sulla salute della popolazione del 1999”]). I numeri che abbiamo riportato indicano che fra i testimoni di Geova l’occorrenza di depressione grave è del 50%, e quella della schizofrenia del 75%, rispetto all’occorrenza della popolazione in generale.
L’analisi degli studi che si è affrontata poco sopra mostra che non esistono, in senso professionale, dei dati che indicherebbero una percentuale di problemi mentali fra i testimoni di Geova superiore a quella della popolazione. Al contrario, l’indagine norvegese suggerisce che tale ratio è più bassa nel paese”. NOTA 5
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NOTE IN CALCE
nota 1 Oddoye RT, Oyewole P. (Clinical & Research Institute, Inc., USA), Jehovah's Witnesses' child-rearing advice and potential psychologists' bias. Psychol Rep. ottobre 2005; 97(2): 467-80.
nota 2 Le note che compaiono nella traduzione dell’articolo sono della redazione di tdgonline e non figurano nell’articolo originale di Furuli.
nota 3 Qualche esempio, per il quale dobbiamo ringraziare proprio Bergman (I testimoni di Geova e la salute mentale, Edizioni Dehoniane, Roma 1996, pag. 61 sgg.): parlando dei Testimoni, da lui definiti banalmente “diffusori di riviste”, Rylander sostiene che ‘il loro disprezzo per ogni emozione si riflette nell’aspetto esteriore dei membri della setta’; rileva che essi ‘vanno incontro a sorrisi di compassione, battute e commenti offensivi’; ‘alcuni di loro sono visti nei loro distretti di provenienza come un po’ ‘matti’ a causa delle loro strane idee’; ‘diversi sarebbero frugivori, vegetariani o membri di qualche movimento salutista’ (cos’è, una colpa?)
nota 4 Spencer riferisce di 50 ricoveri per schizofrenia di testimoni di Geova australiani nel 1973. In quel’anno in Australia c’erano 24.160 Testimoni (Annuario del 1974 dei testimoni di Geova, pag. 24), dei quali 50 costituisce il 2,07 per mille, che è effettivamente, come dicono Furuli e i suoi collaboratori, più basso del tasso medio australiano. Per ulteriori commenti sullo studio di Spencer, si veda l’articolo principale (LINK)
nota 5 Il grafico che segue sintetizza le conclusioni dello staff di Furuli:
Si sottolinea che questo confronto diagrammatico è puramente indicativo, dato che i dati di partenza sono eterogenei e in qualche caso non rigorosamente connotati.
Di seguito una tabella di dettaglio delle colonne: le rosse corrispondono a stime che vorrebbero essere sfavorevoli ai testimoni di Geova, le verdi (le ultime due) a ricerche condotte dall'equipe norvegese di testimoni di Geova.
È subito chiara la disomogeneità fra le stime ‘sfavorevoli’. La stima di Wilting in particolare appare palesemente sovradimensionata, anche se paragonata a quella di Bergman e soprattutto a quella, riferita all’Australia occidentale, di Spencer. La stima dello studio norvegese corrisponde all’ultima colonna (del grafico) / riga (della tabella).