Il nome Divino nella Bibbia:
L’abuso di un’ipotesi?
“Dio ha un nome. Anonima è la miseria su questa terra, anonima la malvagità tra gli esseri umani, poiché le tenebre amano l’anonimato. Lettere anonime, senza nome, lettere senza firma, sono di solito lettere abiette. Ma Dio non è un anonimo autore di lettere. Dio mette il suo nome in tutto quello che fa, permette e dice; Dio non deve temere la luce del giorno. Il diavolo ama l’incognito; Dio ha un nome.” (Walter Luthi, Das Unservater, Basel, 1946, pag. 1).
Da tempo in internet, in molte comunità e in siti pseudo-specialistici circolano articoli che criticano l’uso del nome divino da parte dei testimoni di Geova.
L’attacco è generalmente portato su due fronti:
la pronuncia Geova, considerata uno “sgorbio filologico”
la presenza del nome divino nelle Scritture Greche Cristiane o Nuovo Testamento.
Alcuni critici rasentano la bestemmia provando estremo piacere nel dileggiare e denigrare il nome divino usato dai Testimoni di Geova. Ovviamente è giusto chiedersi come stanno veramente le cose.
Il nome divino nell’Antico Testamento
La presenza del nome divino nel cosiddetto Antico Testamento è innegabile. Ricorre regolarmente a partire da Genesi 2:4. In totale ricorre 6.973 volte, più di tutti gli altri titoli che si riferiscono al vero Dio.
Spesso i critici obiettano che il nome divino era considerato dagli ebrei impronunciabile e che nel riferirsi a Dio si ricorreva a termini sostitutivi (Adonay, Elohim) o a circonlocuzioni (Benedetto, Il Nome). Dicono inoltre che nella Bibbia Dio ha molti nomi. Queste affermazioni però non reggono ad un accurato esame. Un’attenta analisi testuale con un buon interlineare ebraico-italiano mostra che il nome divino era pronunciato liberamente sia dai servitori di Dio che anche da increduli.
Qualche esempio:
Genesi 4:1 : Ora Adamo ebbe rapporti con Eva sua moglie ed essa rimase incinta. A suo tempo essa partorì Caino e disse: “Ho prodotto un uomo con l’aiuto di Geova (ebraico YHWH)”.
Eva usa liberamente il nome di Dio usando il Tetragramma.
Genesi 9:26: E aggiunse: “Benedetto sia Geova (ebraico YHWH), l’Iddio di Sem”
Noè usa il Tetragramma nel benedire Sem.
Genesi 12:8: “Di là si trasferì poi nella regione montagnosa a oriente di Betel e piantò la sua tenda avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì edificò quindi un altare a Geova(ebraico YHWH) e invocava il nome di Geova (YHWH).”
Genesi 14:21-22. A ciò Abramo disse al re di Sodoma: “Alzo in effetti la mano [in giuramento] a Geova (YHWH), l’Iddio Altissimo, che ha fatto il cielo e la terra.
Genesi 15:2: A ciò Abramo disse: “Sovrano Signore Geova (YHWH), che mi darai, visto che me ne vado senza figli e chi possederà la mia casa è un uomo di Damasco, Eliezer?”
Abraamo usa liberamente il nome divino.
Esodo 4:1: Comunque, Mosè rispose e disse: “Ma supponiamo che non mi credano e non ascoltino la mia voce, perché diranno: ‘Geova (YHWH) non ti è apparso”.
Mosè in questo e in altri esempi usa liberamente il nome divino.
1 Samuele 15:13 Alla fine Samuele giunse da Saul, e Saul gli diceva: “Sii benedetto da Geova (YHWH). Ho eseguito la parola di Geova(YHWH)”.
Anche Saul usa liberamente il nome divino.
1 Samuele 23:10: “E Davide diceva: O Geova (YHWH), Dio d’Israele, il tuo servitore ha veramente udito che Saul cerca di venire a Cheila per ridurre in rovina la città per causa mia.”
Davide, chiamato nella Bibbia un ‘uomo secondo il cuore di Dio’, usò liberamente il nome divino decine e decine di volte.
Rut 2:3-4 : Ed ecco, Boaz venne da Betleem e diceva ai mietitori: “Geova (YHWH) sia con voi”. A loro volta essi gli dicevano: “Geova (YHWH) ti benedica”.
Il nome divino veniva utilizzato anche nelle normali espressioni di saluto. Questi esempi indicano che il nome divino era usato liberamente dagli ebrei senza ricorrere ad alcuna circonlocuzione o termini sostitutivi. Se Dio non avesse voluto l’uso del nome divino da parte dei suoi servitori ovviamente lo avrebbe fatto scrivere nella Bibbia e avrebbe manifestato sdegno (lo stesso sdegno che i detrattori usano verso i Testimoni di Geova) nei confronti di Noè, Abraamo, Mosè, Davide, i profeti e altri servitori di Dio che invece lo usarono liberamente.
Né si può avanzare l’ipotesi che successivamente il nome divino venisse usato sempre meno frequentemente. Malachia è l’ultimo libro dell’Antico Testamento ma usa il nome divino decine di volte. In Malachia 3:16 il profeta scrisse:
“In quel tempo quelli che avevano timore di Geova (YHWH) parlarono gli uni con gli altri, ciascuno col suo compagno, e Geova (YHWH) prestava attenzione e ascoltava. E si cominciò a scrivere dinanzi a lui un libro di memorie per quelli che avevano timore di Geova (YHWH)e per quelli che pensavano al suo nome”.
Che Dio desideri che lo si conosca con il Suo nome personale è evidente da Isaia 12:4,5:
“E in quel giorno certamente direte: “Rendete grazie a Geova!(YHWH) Invocate il suo nome. Fate conoscere fra i popoli le sue gesta. Menzionate che il suo nome deve essere innalzato. Innalzate melodie a Geova(YHWH), poiché ha fatto cose eccelse. Questo si fa conoscere in tutta la terra”.
Il nome divino nei contesti extra biblici
L’esteso uso del nome divino nell’antichità risulta anche da fonti extrabibliche. Nel 1961, secondo quanto riferisce l’Israel Exploration Journal (volume XIII, n. 2), a breve distanza da Gerusalemme, verso sud-ovest, fu scoperta un’antica caverna usata come luogo di sepoltura. Sulle pareti furono trovate iscrizioni in ebraico risalenti alla seconda metà dell’VIII secolo a.E.V., alcune delle quali contenenti espressioni come “Geova è l’Iddio di tutta la terra”.
Nel 1966 fu pubblicata sull’Israel Exploration Journal (volume XVI, n. 1) una notizia riguardante frammenti di coccio trovati ad Arad, nel sud di Israele, recanti scritte in ebraico. Queste iscrizioni risalgono alla seconda metà del VII secolo a.E.V. Una consiste in una lettera privata scritta a un uomo di nome Eliashib. La lettera comincia dicendo:
“Al mio signore Eliashib: Geova chieda la tua pace”, e termina: “Egli dimora nella casa di Geova”.
Nel 1975 e nel 1976, archeologi hanno scoperto nel Negheb delle iscrizioni in ebraico e fenicio su pareti intonacate, nonché grosse giare e vasi di pietra. Nelle iscrizioni erano visibili sia la parola Dio in ebraico che il nome di Dio, YHWH, in caratteri ebraici. Nella stessa Gerusalemme è stato scoperto di recente un rotolino d’argento che pare risalga a prima dell’esilio babilonese. Quando fu srotolato, dicono i ricercatori, vi fu trovato scritto il nome di Geova in ebraico. — Biblical Archaeology Review, marzo/aprile 1983, pagina 18.
Un altro esempio dell’uso del nome di Dio è dato dalle cosiddette Lettere di Lachis. Queste lettere, scritte su coccio, furono trovate nel periodo 1935-1938 fra le rovine di Lachis, una città fortificata famosa nella storia di Israele. A quanto pare furono scritte dall’ufficiale di un avamposto giudeo al proprio superiore, di nome Yaosh, che si trovava a Lachis, sembra durante la guerra fra Israele e Babilonia verso la fine del VII secolo a.E.V.
Degli otto frammenti leggibili, sette cominciano con un saluto come questo: “Possa Geova far sì che il mio signore veda questa stagione in buona salute!” In totale, il nome di Dio ricorre undici volte nei sette messaggi, a evidente conferma del fatto che alla fine del VII secolo a.E.V. il nome di Geova era usato nella vita quotidiana.
Persino governanti pagani conoscevano e usavano il nome divino quando si riferivano all’Iddio degli israeliti. Per esempio, nella Pietra Moabita, Mesa re di Moab si vanta dei suoi successi militari contro Israele e, fra l’altro, dice:
“Chemos mi disse: ‘Va, prendi Nebo da Israele!’ Così andai di notte e combattei contro di essa dal sorgere dell’alba fino a mezzogiorno, prendendola e uccidendo tutti ... e presi di là i [vasi] di Geova, trascinandoli davanti a Chemos”.
Con riferimento a questi usi extrabiblici del nome di Dio, il Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament (Dizionario Teologico dell’Antico Testamento), volume III, colonna 538, dice:
“Circa diciannove prove documentarie del Tetragramma nella forma jhwh attestano pertanto l’attendibilità del TM [Testo Masoretico] a questo riguardo; c’è da aspettarsi dell’altro, soprattutto dagli archivi di Arad”. — Traduzione dal tedesco.
Questi usi extra biblici dimostrano l’uso normale e consueto del nome divino da parte degli israeliti e delle nazioni vicine che ebbero rapporti con loro. Alla luce di questi fatti è assolutamente falso che il nome divino fosse considerato impronunciabile dai fedeli servitori di Dio.
Dio ha molti nomi?
Secondo le affermazioni di alcuni nostri critici, Dio nella Bibbia ha molti nomi. Elencano titoli e attributi di Dio come Onnipotente (Shadday), Eterno (Olham), Signore (Adonay), Dio (El, Elohìm), Geloso (Qannà) per indicare che YHWH non è l’unico nome divino.
In realtà questi sono soltanto titoli di Dio. Anche a volerli considerare, secondo un’accezione più ampia, dei nomi divini in realtà non sono esclusivi del vero Dio. Nella Bibbia stessa false divinità venivano chiamate El, Elohìm (Giudici 16:23), Signore (Baal, divinità Cananea significa Signore). Zeus, Dio dei greci era considerato Onnipotente e chiamato PADRE . Il tetragramma invece identifica esclusivamente il vero Dio. È il nome che Dio stesso si è dato. Nessuna altra divinità lo porta. Il
Dizionario Biblico di John L. Mckenzie dice:
“Il Dio di Israele è chiamato con il suo nome più che con tutti gli altri nomi messi insieme; il nome non soltanto identificava la persona, ma ne rivelava il carattere”. (pag.250)
Un’altra opera di consultazione dice:
“Yahweh, perciò, in contrasto con Elohim [Dio], è un nome proprio, il nome di una Persona, benché si tratti di una Persona divina. Come tale, ha il suo contesto ideologico; presenta Dio come Persona, e quindi lo mette in relazione con altre personalità, umane..., e parla ai Patriarchi come a suoi amici” – The Illustrated Bible Dictionary, pubblicato nel 1980 dalla Tyndale House Publishers.
Un dizionario teologico del Nuovo Testamento dice:
“Una delle più fondamentali ed essenziali caratteristiche della rivelazione biblica è il fatto che Dio non è privo di nome: ha un nome personale, mediante il quale può e deve essere invocato”. – The New International Dictionary of New Testament Theology, volume II, pagina 649.
Pertanto l’idea che il Tetragramma sia solo uno dei tanti nomi divini è destituita di fondamento. Mentre gli altri sono titoli che descrivono gli attributi divini o le Sue attività, YHWH (GEOVA) è l’unico nome proprio mediante il quale Dio vuole essere conosciuto e adorato. – Salmo 83:18; Ezechiele 36:23;38:23.
Qual è l’esatta pronuncia del nome divino?
Oggi come oggi la pronuncia originale in ebraico del nome divino non si conosce. L’ebraico si scriveva solo con le consonanti. Il nome divino è formato da quattro consonanti, traslitterate in italiano YHWH. Gli ebrei sapevano quali vocali aggiungere. Come mai si perse la pronuncia originaria?
Fra gli ebrei nacque una superstizione secondo cui non si doveva pronunciare udibilmente il nome di Dio; così quando lo incontravano nella lettura della Bibbia pronunciavano al suo posto la parola ebraica ‘Adhonày’ (“Sovrano Signore”). Certamente influirono diversi fattori all’insorgere di questa superstizione.
In primo luogo l’influsso della filosofia greca. Filone, per esempio, un filosofo ebreo di Alessandria, all’incirca contemporaneo di Gesù, subì molto l’influenza del filosofo greco Platone, da lui ritenuto un uomo ispirato da Dio. Il Lexikon des Judentums (Lessico del giudaismo), alla voce “Filone”, afferma che questi “fuse il linguaggio e i concetti della filosofia greca (Platone) con la fede rivelata degli ebrei” e che “influì visibilmente sui padri della chiesa cristiana”. Filone sosteneva che Dio era indefinibile e, pertanto, innominabile.
Inoltre insorse una strana interpretazione del comando divino di Esodo 20:7:
“Non pronunciare il nome del Signore Dio tuo invano”.
L’Enciclopedia Judaica scrive:
“Si evitava di pronunciare il nome YHWH ... perché il terzo comandamento ... era stato frainteso e si pensava significasse ‘Non userai il nome di YHWH tuo Dio invano’, mentre in realtà significa ‘Non giurerai il falso nel nome di YHWH tuo Dio'” (2° ristampa),1973, volume 7, pag. 679.
Quando prese piede questa superstizione?
Alcuni dicono categoricamente che nel primo secolo (al tempo di Gesù) il nome divino non era più utilizzato. Ma in realtà le cose sono meno certe di quanto i critici sostengono.
Nel I secolo E.V. compaiono i primi segni di un atteggiamento superstizioso nei confronti del nome. Giuseppe Flavio, storico ebreo di famiglia sacerdotale, nel riferire la rivelazione di Dio a Mosè presso il roveto ardente, dice:
“Allora Dio gli rivelò il Suo nome, che prima di allora non era mai giunto a orecchi umani, e di cui non mi è lecito parlare”. – Antichità giudaiche, II, 276 [xii, 4]
Le parole di Giuseppe Flavio però, oltre a essere inesatte circa la conoscenza del nome divino prima di Mosè, sono vaghe e non indicano chiaramente quale fosse nel I secolo l’atteggiamento generale in quanto a pronunciare o usare il nome divino.
La Mishnàh ebraica, collezione di tradizioni e insegnamenti rabbinici, è un po’ più esplicita. La sua compilazione è attribuita a un rabbino detto Giuda il Principe, vissuto nel II-III secolo E.V. Parte del contenuto della Mishnàh si riferisce chiaramente a condizioni precedenti la distruzione di Gerusalemme e del tempio nel 70 E.V. Tuttavia, a proposito del suo contenuto, uno studioso dice:
“È estremamente difficile stabilire quale valore storico attribuire a qualsiasi tradizione riportata nella Mishnah. Il tempo trascorso può aver oscurato o distorto ricordi di tempi così diversi; sconvolgimenti, cambiamenti politici, e la confusione causata da due insurrezioni e due vittorie romane; le valutazioni dei farisei (le cui opinioni sono riportate nella Mishnah) che non erano quelle dei sadducei . . . questi sono fattori a cui dare il giusto peso nel valutare il carattere delle dichiarazioni della Mishnah. Inoltre molto del contenuto della Mishnah si muove in un’atmosfera di discussione accademica portata avanti come tale, senza (almeno parrebbe) pretese di documentare un uso storico”. – The Mishnah, trad. inglese di H. Danby, Londra, 1954, pp. xiv, xv
Alcune di queste tradizioni relative al pronunciare il nome divino sono le seguenti:
Nell’opera di A. Cohen, Il Talmud (Bari, 1986, pp. 51, 52) si legge a proposito dell’annuale giorno di espiazione: “E quando i sacerdoti e il popolo che stavano nell’atrio, udivano il Nome glorioso e venerato pronunciato liberamente dalla bocca del Sommo Sacerdote in santità e purezza, piegavano le ginocchia e si prostravano e cadevano sulla loro faccia ed esclamavano: Benedetto il Suo Nome glorioso e sovrano per sempre in eterno”. (Joma 6:2)
Delle quotidiane benedizioni sacerdotali la stessa opera dice: “Nel Santuario il Nome era pronunciato come è scritto, ma fuori dei suoi confini si adoperava un Nome che lo sostituisse”. (Sotah 7:6) La stessa opera dice inoltre: “D’altra parte, ci fu un tempo in cui si sostenne che anche i laici potessero usare liberamente e apertamente il Nome divino. La Mishnah insegna: ‘Si ordinò che ciascuno salutasse i suoi amici menzionando il Nome’ (Ber., ix, 5). . . . Questa abitudine, però, presto scomparve, e, fra quelli che non avranno parte nel mondo avvenire, si comprese ‘chi pronuncia il Nome come è scritto’ (Sanh., x, 1)”.
E la Mishnàh (trad. di H. Danby, cit., Sanhedrin 7:5) dichiara che un bestemmiatore non era colpevole ‘a meno che pronunciasse il Nome’, e che in un processo relativo a un’accusa di bestemmia veniva usato un nome sostitutivo finché non si erano ascoltate tutte le testimonianze; allora veniva chiesto in privato al testimone principale di ‘dire esattamente quello che aveva sentito’, usando presumibilmente il nome divino.
Prese per ciò che valgono, queste idee tradizionali possono rivelare una tendenza superstiziosa a evitare l’uso del nome divino invalsa qualche tempo prima che il tempio di Gerusalemme fosse distrutto nel 70 E.V. Ma anche in tal caso, viene esplicitamente dichiarato che erano perlopiù i sacerdoti a usare un nome sostitutivo al posto del nome divino, e questo solo fuori del tempio. Inoltre, come abbiamo visto, il valore storico di queste tradizioni è dubbio.
Comunque che il nome divino fosse ancora usato al tempo di Gesù è indicato dalla Invocazione sugli eretici (Birkath ha-Minim) introdotta nella liturgia sinagogale intorno al 85 E.V. La dodicesima richiesta della “Preghiera delle 18 domande” recita:
“Per i rinnegati non vi sia speranza e possa tu disperdere il regno della violenza dei nostri giorni. E i nazareni e gli eretici vadano in rovina repentinamente. Siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti assieme ai giusti. Benedetto sii tu, JHWH, che umili i violenti”. – The benediction of the Minim and early Jewish-Christian Controversy, pag. 19-61
Il fatto che il Tetragramma fosse presente in questa preghiera non biblica dimostra che esso era usato liberamente in tale periodo.
Queste superstizioni non bibliche e il fatto che col passar del tempo l’ebraico antico cessasse di essere una lingua d’uso quotidiano, comportò che l’originale pronuncia ebraica del nome di Dio fosse infine dimenticata.
Nel medioevo per far sì che la pronuncia della lingua ebraica nell’insieme non andasse perduta, studiosi ebrei escogitarono un sistema di punti per rappresentare le vocali mancanti, e li collocarono vicino alle consonanti nella Bibbia ebraica. Così vennero scritte sia le vocali che le consonanti, preservando la pronuncia comune a quell’epoca.
Per quanto riguarda il nome di Dio, invece di mettervi i segni vocalici giusti, nella maggioranza dei casi vi misero altri segni vocalici per ricordare al lettore di leggere ‘Adhonày’. Da ciò derivò la grafia Iehouah, diventata poi “Geova”, la tradizionale pronuncia del nome di Dio in italiano.
Ma il fatto che la grafia GEOVA non sia quella originaria dovrebbe portare alla conclusione che è meglio non usarlo affatto? È così che di solito si fa con gli altri nomi biblici?
Come esempio principale, prendiamo il nome di Gesù. Sapreste dire come lo chiamavano nel parlare quotidiano i suoi familiari e amici mentre cresceva a Nazaret? In effetti nessun uomo lo sa con certezza, anche se forse lo chiamavano Yeshua (o forse Yehoshua). Una cosa è certa: non lo pronunciavano con il nome italianizzato Gesù.
Comunque, quando i racconti della sua vita furono scritti in greco, gli scrittori ispirati non cercarono di preservare l’esatta pronuncia originale ebraica. Resero quel nome in greco, Iesoùs (molto diverso da Yeshua o Yehoshua). Oggi viene reso in modi diversi secondo la lingua dei lettori a cui è diretta quella data versione della Bibbia. Dovremmo forse smettere di usare il nome Gesù perché la maggioranza di noi, se non addirittura tutti, non conosce in effetti la sua pronuncia originale? Finora a nessun traduttore è venuta un’idea del genere. Siamo lieti di usare questo nome, perché identifica l’amato Figlio di Dio, Gesù Cristo, il nostro signore che ha dato il suo sangue per noi. Togliere dalla Bibbia qualsiasi menzione del nome di Gesù per sostituirlo con un semplice titolo come “Maestro” o “Mediatore” significherebbe onorarlo? Ovviamente no! Quando si usa il nome di Gesù, così com’è comunemente pronunciato nella nostra lingua, capiamo subito di chi si parla.
Osservazioni analoghe si potrebbero fare su tutti i nomi che leggiamo nella Bibbia. Li pronunciamo nella nostra lingua e non cerchiamo di imitare la pronuncia originale. Così diciamo “Geremia”, non Yirmeyàhu. Similmente diciamo Isaia, anche se ai suoi tempi questo profeta era probabilmente chiamato Yesha (yàhu). Perfino gli studiosi che conoscono la pronuncia originale di questi nomi, quando li menzionano usano la pronuncia moderna, non quella antica. Le italianizzazioni di questi nomi non riproducono a volte, nemmeno il suono delle pronunce originali.
E lo stesso può dirsi del nome Geova. Anche se la pronuncia moderna, Geova, potrebbe non essere esattamente identica a quella originale, l’importanza del nome rimane inalterata. Esso identifica il Creatore, l’Iddio vivente, l’Altissimo al quale Gesù disse: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome”.— Matteo 6:9.
Pertanto l’obiezione che non dovremmo usare il nome divino nella forma GEOVA perché non è la pronuncia originaria o addirittura che sia uno “sgorbio filologico” (alcuni critici addirittura bestemmiano il nome divino nelle loro confutazioni) è strumentale e infondata. È vero che di solito gli studiosi di ebraico preferiscono la forma YAHWEH considerandola, con molta probabilità, la pronuncia originaria.
In realtà la forma YAHWEH si ritiene sia derivata dalla pronuncia samaritana del nome divino. Infatti Teodoreto, nel trattato “Quaestiones in Exodus”, riferendosi al modo di pronunciare il nome da parte dei samaritani, lo scrisse JABE. Questi passaggi hanno indotto gli studiosi ad inserire le vocali del samaritano JABE nelle originali consonanti ebraiche YHWH pronunciando così YAHWEH.
Gli studiosi non sono concordi nel dire che la pronuncia samaritana del nome divino fosse corretta. Per fare qualche esempio Andrè Chouraqui ha scritto:
“IHWH sarebbe, secondo Esodo 3:13-15, il nome proprio del Dio d’Israele...In epoca più recente , si è rischiato di leggerlo Yahvè o Yahweh. Questa lettura si è rapidamente diffusa senza comunque essere solidamente fondata.” – La Saint Bible, Parigi 1989, pag. 2415.
Nel libro The Mysterious Name of Y.H.W.H., pagina 74, il dott. M. Reisel dice:
“la vocalizzazione del Tetragramma dovette essere in origine YeH_uàH o YaH_uàH“.
D. Williams, canonico di Cambridge, sostiene:
“l’evidenza indica, anzi praticamente dimostra, che Jahwéh non era la vera pronuncia del Tetragramma ... Il Nome stesso era probabilmente JAHÔH.” — Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft (Periodico per la conoscenza dell’Antico Testamento), 1936, volume LIV, pagina 269.
Nel glossario della versione riveduta francese di Segond, a pagina 9, troviamo il seguente commento:
“La pronuncia Yahvé usata in alcune traduzioni recenti si basa su poche testimonianze antiche, che non sono però conclusive. Se si considerano i nomi propri contenenti il nome divino, come il nome ebraico del profeta Elia (Eliyahou), la pronuncia potrebbe anche essere Yaho o Yahou“.
“Coloro che considerano [Ye-ho-wah] come la vera pronuncia [del nome di Dio] non sono del tutto senza una base per difendere la loro opinione. In questo modo le sillabe abbreviate [Ye-ho] e [Yo], con cui iniziano molti nomi propri, possono essere spiegate in maniera più soddisfacente”. — Hebrew and Chaldee Lexicon to the Old Testament Scriptures.
È evidente che la pronuncia originale del nome di Dio non è più conosciuta. E in effetti non è importante. Se lo fosse, Dio stesso avrebbe fatto in modo che giungesse fino a noi. Quel che conta è usare il nome di Dio secondo la pronuncia convenzionale nella propria lingua.
Non ci sono pertanto valide ragioni per abbandonare la forma Geova a favore di un’altra né per considerarlo “uno sgorbio filologico”. Questa affermazione invece di essere il risultato di un’attenta analisi è più una bestemmia verso l’Iddio che ha creato l’Universo.
Il nome divino nel Nuovo Testamento
La presenza del Tetragramma nelle Scritture Ebraiche è indiscutibile. Ma nel cosiddetto Nuovo Testamento (Scritture Greche) fino ad oggi il tetragramma non compare per esteso in nessun manoscritto a parte in Apocalisse (Rivelazione) 19:1-6 come parte dell’espressione Lodate Iah (Geova). Tracce che il nome divino doveva essere presente nel Nuovo Testamento sono evidenti da passi come Matteo 6:9, Giovanni 12:28,17:6,26 ed Ebrei 6:10.
I critici fanno della mancanza del tetragramma nei manoscritti del Nuovo Testamento uno dei cavalli di battaglia nella lotta contro i testimoni di Geova. Sostengono che la Traduzione del Nuovo Mondo abusa di un’ipotesi ripristinando il nome divino nel testo delle Scritture Greche Cristiane. Ma le cose stanno così?
Se è vero che i manoscritti in nostro possesso non contengono il Tetragramma dobbiamo ricordarci che non abbiamo gli originali ma copie risalenti almeno al IV secolo dopo Cristo. E se è vero che non abbiamo prove dirette della presenza del Tetragramma nel Nuovo Testamento abbiamo valide prove indirette della sua presenza quando vennero scritti gli originali.
Consideriamone alcune.
Primo punto. Dio stesso ha dichiarato il proposito di essere conosciuto ed adorato con il Suo nome commemorativo.
Esodo 3:15: “Questo è il mio Nome eterno con il quale mi invocheranno le generazioni future.” (Edizioni Paoline)
Salmo 83:19 (18):”Riconoscano che il tuo nome è Jahvè, tu solo sei l’Eccelso su tutta la terra”. (Edizioni Paoline, Garofalo)
Dio vuole essere conosciuto ed adorato con il Suo nome personale non solo da Israele ma da tutta la terra.
Nella profezia di Ezechiele (38:23) Dio dichiara:”Così mi dimostrerò grande e santo, così mi manifesterò agli occhi di molti popoli, e sapranno che io sono Jahve” (Garofalo).
Isaia 54:13 dice che Geova sarà chiamato “Dio di tutta la terra”.
E’ possibile che Dio dichiari , in maniera così chiara, di voler essere conosciuto con il Suo nome, Geova, e poi non lo abbia incluso nella parte finale della Sua Parola?
Secondo punto. Il nome divino era presente nelle copie delle Scritture Ebraiche usate al tempo di Gesù e nelle copie della traduzione greca dei LXX utilizzate dagli apostoli.
LXXP. Fouad Inv. 266 rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici quadrati nei seguenti luoghi: De 18:5, 5, 7, 15, 16; 19:8, 14; 20:4, 13, 18; 21:1, 8; 23:5; 24:4, 9; 25:15, 16;De 26:2, 7, 8, 14; 27:2, 3, 7, 10, 15; 28:1, 1, 7, 8, 9, 13, 61, 62, 64, 65; 29:4, 10, 20, 29; 30:9, 20; 31:3, 26, 27, 29; 32:3, 6, 19. Perciò in questa collezione il Tetragramma ricorre 49 volte in luoghi identificati di Deuteronomio. Inoltre, in questa collezione il Tetragramma ricorre tre volte in frammenti non identificati, cioè nei frammenti 116, 117 e 123. Questo papiro, trovato in Egitto, fu datato al I secolo a.E.V. Union College Annual, vol. XLII, Cincinnati, 1971, pp. 125-131.
LXXVTS 10a rende il nome divino col tetragramma scritto in caratteri ebraici antichi nei seguenti luoghi: Gna 4:2; Mic 1:1, 3; 4:4, 5, 7; 5:4, 4; Aba 2:14, 16, 20; 3:9; Sof 1:3, 14; 2:10; Zac 1:3, 3, 4; 3:5, 6, 7. Questo rotolo di pelle, trovato in una caverna del deserto della Giudea presso Na_hal _Hever, è stato datato alla fine del I secolo E.V. I frammenti di questo rotolo furono pubblicati in Supplements to Vetus Testamentum, vol. X, Leida, 1963, pp. 170-178.
LXXIEJ 12 rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici antichi in Gna 3:3. Questo frammento di pergamena, trovato in una caverna del deserto della Giudea presso Na_hal _Hever, è stato datato alla fine del I secolo E.V. Fu pubblicato nell’Israel Exploration Journal, vol. 12, 1962, p. 203.
LXXVTS 10b rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici antichi nei seguenti luoghi: Zac 8:20; 9:1, 1, 4. Questo rotolo di pergamena, trovato in una caverna del deserto della Giudea presso Na_hal _Hever, è stato datato alla metà del I secolo E.V. Fu pubblicato in Supplements to Vetus Testamentum, vol. X, 1963, p. 178.
4Q LXX Levb rende il nome divino in lettere greche 1 (IAO) in Le 3:12; 4:27. Questo manoscritto papiraceo, trovato nella Caverna n. 4 di Qumran, è stato datato al I secolo a.E.V. Un resoconto preliminare su questo manoscritto fu presentato in Supplements to Vetus Testamentum, vol. IV, 1957, p. 157.
LXXP. Oxy. VII.1007 rende il nome divino con una doppia yohdh (23) in Ge 2:8, 18. Questo foglio di pergamena, datato al III secolo E.V., fu pubblicato in The Oxyrhynchus Papyri, parte VII, con traduzioni e note a cura di Arthur S. Hunt, Londra, 1910, pp. 1, 2.
AqBurkitt rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici antichi (45) nei seguenti luoghi: 1Re 20:13, 13, 14; 2Re 23:12, 16, 21, 23, 25, 26, 27. Questi frammenti del testo greco della versione di Aquila furono pubblicati da F. Crawford Burkitt nella sua opera Fragments of the Books of Kings According to the Translation of Aquila, Cambridge, 1898, pp. 3-8. Questi frammenti di palinsesto dei libri dei Re furono trovati nella genizah della sinagoga del Cairo, in Egitto. Sono stati datati alla fine del V secolo o al principio del VI secolo E.V.
AqTaylor rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici antichi (67) nei seguenti luoghi: Sl 91:2, 9; 92:1, 4, 5, 8, 9; 96:7, 7, 8, 9, 10, 13; 97:1, 5, 9, 10, 12; 102:15, 16, 19, 21; 103:1, 2, 6, 8. Questi frammenti del testo greco della versione di Aquila furono pubblicati da C. Taylor nella sua opera Hebrew-Greek Cairo Genizah Palimpsests, Cambridge, 1900, pp. 54-65. Sono stati datati alla seconda metà del V secolo E.V. o al massimo al principio del VI secolo E.V.
SymP. Vindob. G. 39777 rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici arcaici (89 oppure :;) nei seguenti luoghi: Sl 69:13, 30, 31. Questo frammento (di cui vedete sotto una riproduzione) di un rotolo di pergamena con parte del Sl 69 nella versione di Simmaco (Sl 68 nei LXX), conservato nella Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, è stato datato al III o IV secolo E.V. Fu pubblicato dal dott. Carl Wessely in Studien zur Palaeographie und Papyruskunde, vol. XI, Lipsia, 1911, p. 171.
L’Ambrosiano O 39 sup. rende il nome divino col Tetragramma scritto in caratteri ebraici quadrati in tutt’e cinque le colonne nei seguenti luoghi: Sl 18:30, 31, 41, 46; 28:6, 7, 8; 29:1, 1, 2, 2, 3, 3; 30:1, 2, 4, 7, 8, 10, 10, 12; 31:1, 5, 6, 9, 21, 23, 23, 24; 32:10, 11; 35:1, 22, 24, 27; 36:sopr, 5; 46:7, 8, 11; 89:49 (nelle colonne 1, 2 e 4), ÞSl 89:Ü51, 52. Questo codice, datato alla fine del IX secolo E.V., ha cinque colonne. La prima contiene una traslitterazione del testo ebraico in greco, la seconda la versione greca di Aquila, la terza la versione greca di Simmaco, la quarta quella dei LXX e la quinta la versione greca Quinta. Un’edizione in facsimile di questo palinsesto, insieme con una trascrizione del testo, a cura di Giovanni Mercati, fu pubblicata a Roma nel 1958 col titolo Psalterii Hexapli reliquiae . . . Pars prima. Codex rescriptus Bybliothecae Ambrosianae O 39 sup. phototypice expressus et transcriptus.
Questi frammenti (alcuni del I secolo a.c. ma altri del I secolo d.c. o oltre) dimostrano inconfutabilmente che il Nome Divino era liberamente usato nel periodo apostolico. Quindi la tesi secondo cui gli ebrei nel tradurre le Scritture dall’ebraico al greco sostituirono il Tetragramma con Kyrios (Signore) è priva di fondamento. Il Tetragramma era presente nelle prime versioni greche della Bibbia ebraica.
Oltre a ciò si paragonino i documenti ritrovati fra i Rotoli del Mar Morto, risalenti al primo secolo. Molti di questi sono libri non biblici. Se fosse vero che il nome divino non era più di uso comune questi rotoli non dovrebbero contenere il Tetragramma quando fanno riferimento a Dio ma termini sostitutivi. Invece i Rotoli del Mar Morto non biblici contengono il tetragramma. Questo indica che nel periodo in cui visse Gesù il Tetragramma era ancora in uso presso gli ebrei.
Alla luce di Deuteronomio 4:2 con quale autorità gli scrittori Neotestamentari avrebbero sostituito deliberatamente il Tetragramma con Kyrios (Signore) o Theos (Dio) specie in quei casi in cui citavano testualmente dalle Scritture Ebraiche? (Confronta Luca 4:16-19 con Isaia 61:1,2 – Atti 2:21 con Gioele 2:32)
Terzo punto. Non c’è alcuna prova che al tempo di Cristo e degli apostoli ci fosse una diffusa ostilità verso l’uso del Tetragramma nell’adorazione. Come detto sopra la superstizione ebraica non era unanime al tempo di Gesù. Pare fossero i sacerdoti ad avere remore mentre i farisei lo usavano liberamente. Il Nome era presente nelle copie delle Scritture in ebraico. Era presente nella versione greca della LXX usate dalla diaspora. Era presente in libri non biblici. Queste sono chiare ed evidenti prove indirette.
I critici che le minimizzano e fanno obiezioni pretestuose si convincerebbero forse se avessimo registrate su supporto magnetico le voci delle persone viventi nel primo secolo e sentissero con le loro orecchie il Tetragramma? O penserebbero, anche in questo caso, che i Testimoni di Geova hanno fatto ricorso a trucchi? L’obiezione dei critici non ha senso né dal punto di vista logico e nemmeno dal punto di vista storico!
Quarto punto. Ci sono valide prove indirette per ritenere che Cristo e gli apostoli usassero liberamente il Tetragramma.
Che Gesù usasse il nome divino è confermato dall’accusa fatta secoli dopo la sua morte dagli ebrei, accusa secondo cui, se egli compiva miracoli, era “solo perché si era impadronito del nome ‘segreto’ di Dio”. – The Book of Jewish Knowledge.
Questa accusa è interessante per due ragioni:
gli ebrei non tentarono di negare la realtà dei miracoli di Gesù, cosa che avrebbero fatto se ci fosse stato il minimo dubbio al riguardo;
Gesù usava il nome di Dio. L’accusa sarebbe stata poco credibile se nessuno avesse sentito Gesù usare il nome divino.
Il Talmud babilonese nella prima parte, intitolata Shabbath (Sabato), contiene un immenso codice di regole che stabiliscono cosa si poteva fare di sabato. In un punto si discute se di sabato è lecito salvare i manoscritti biblici dal fuoco, dopo di che si legge: “Nel testo si affermava: Gli spazi bianchi [gilyohnìm] e i Libri dei Minim, non possiamo salvarli dal fuoco. R. [Rabbi] Jose disse: Nei giorni lavorativi bisogna ritagliare i Nomi Divini che vi sono contenuti, nasconderli e bruciare il resto. R. [Rabbi] Tarfon disse: Possa io seppellire mio figlio se non li bruciassi insieme ai Nomi Divini che contengono qualora mi capitassero fra le mani”. – Dalla traduzione inglese del dott. H. Fre1eddiman.
Chi erano i minìm (minei)? La parola significa “settari” e potrebbe riferirsi ai sadducei o ai samaritani. Ma secondo il dott. Freedman, è molto probabile che in questo passo indichi i giudeo-cristiani. Cos’erano dunque i gilyohnìm, tradotto “spazi bianchi” dal Freedman? Due sono i possibili significati. Potevano essere i margini bianchi dei rotoli o anche i rotoli in bianco. Oppure, applicando ironicamente il termine, potevano essere gli scritti dei minìm, come a dire che valevano quanto un rotolo bianco, cioè nulla. In alcuni dizionari questo secondo significato è dato come “Vangeli”. In armonia con ciò, la frase che compare nel Talmud prima del brano summenzionato dice: “I Libri dei Minim sono come spazi bianchi [gilyohnìm]”.
Così nel libro Who Was a Jew?, di Lawrence H. Schiffman, il suindicato brano del Talmud è tradotto:
“Non salviamo dal fuoco (di sabato) i Vangeli e i libri dei minim (‘eretici’). Vengono bruciati dove si trovano, essi e i loro Tetragrammi. Rabbi Yose Ha-Gelili dice: Durante la settimana si dovrebbero togliere da essi i Tetragrammi, nasconderli e bruciare il resto. Disse Rabbi Tarfon: Possa io seppellire i miei figli! Se (questi libri) mi capitassero fra le mani, li brucerei con tutti i loro Tetragrammi“.
Il dott. Schiffman prosegue argomentando che qui per minìm si intendono i cristiani ebrei.
È molto probabile che qui il Talmud si riferisca ai cristiani ebrei. È un’ipotesi che trova consensi fra gli studiosi, e nel Talmud sembra ben suffragata dal contesto. In Shabbath il brano che segue la suddetta citazione narra una storia riguardante Gamaliele e un giudice cristiano nella quale si allude a parti del Sermone del Monte.
Oltre a ciò si esamini il contesto delle espressioni di Gesù. Insegnò a santificare il Nome di Dio. (Matteo 6:9) In un’occasione disse: “Padre glorifica il tuo nome” e Geova dal cielo gli rispose:” “[L’]ho glorificato e [lo] glorificherò di nuovo”.(Giovanni 12:28) Nella famosa preghiera sacerdotale disse: “Ho reso manifesto il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi, e tu li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, affinché l’amore col quale mi hai amato sia in loro e io unito a loro”. (Giovanni 17:6,26) È evidente che Gesù si riferiva a qualcosa di molto più profondo che la pronuncia del Tetragramma. Gesù rivelò aspetti nuovi e profondi della personalità e del proposito di Geova. Ma se Gesù non avesse mai usato il Tetragramma queste espressioni non avrebbero avuto senso.
Per illustrare il punto torniamo al tempo di Mosè. Gli ebrei schiavi in Egitto conoscevano perfettamente il Tetragramma perché come mostrano gli scritti di Genesi era usato liberamente da Abraamo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, antenati del popolo ebraico. Ma Mosè disse a Dio: “Supponiamo che ora io sia andato dai figli d’Israele e realmente dica loro: ‘L’Iddio dei vostri antenati mi ha mandato a voi’, ed essi realmente mi dicano: ‘Qual è il suo nome?’ Che dirò loro?”. Dio rispose:” IO MOSTRERÒ D’ESSERE CIÒ CHE MOSTRERÒ D’ESSERE”. E aggiunse: “Devi dire questo ai figli d’Israele: ‘IO MOSTRERÒ D’ESSERE mi ha mandato a voi'”. Quindi Dio disse ancora una volta a Mosè: “Devi dire questo ai figli d’Israele: ‘Geova l’Iddio dei vostri antenati, l’Iddio di Abraamo, l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe, mi ha mandato a voi’. Questo è il mio nome a tempo indefinito, e questo è il memoriale di me di generazione in generazione.” Dio non si limitò a rivelare la pronuncia del Tetragramma (cosa che gli ebrei già conoscevano) ma diede una spiegazione “teologica” del nome, “IO MOSTRERÒ D’ESSERE CIÒ CHE MOSTRERÒ D’ESSERE” o “IO SARÒ QUEL CHE SARÒ” o “Io diverrò qualunque cosa mi piaccia”. Dio assicurò Mose che si sarebbe rivelato come Colui che, in maniera progressiva, diviene il Realizzatore delle sue promesse.
In Esodo 6:3 Dio dice: “E apparivo ad Abraamo, Isacco e Giacobbe come Dio Onnipotente, ma rispetto al mio nome Geova non mi feci conoscere da loro.” Significa che Abraamo, Isacco e Giacobbe non conoscessero e usassero il nome divino? No, perché nei manoscritti biblici in ebraico di Genesi il Tetragramma viene usato liberamente da quei patriarchi. Ma esso stava per essere rivelato sotto un aspetto nuovo. Ciò che essi non conoscevano era l’ulteriore significato che questo nome avrebbe assunto quando il popolo avrebbe visto fino a che punto sarebbe arrivato Geova per far sì che le sue promesse e i suoi propositi si adempissero. Ma è evidente che gli ebrei avrebbero usato il nome divino nell’adorazione.
Allo stesso modo nel caso di Gesù. Gli apostoli conoscevano già il Tetragramma. Ma Gesù aveva rivelato ulteriori significati del nome divino, legati al Suo ruolo come Messia e Re, alla speranza di vita eterna in cielo e alla finale rivendicazione di Dio al giudizio finale. È vero che espressioni come “sia santificato il tuo nome” o “farò conoscere il tuo nome” intendono qualcosa di più che la conoscenza della pronuncia del nome divino. Il nome, nelle Scritture, simboleggia la persona e tutte le qualità che possiede. Quindi è chiaro che queste espressioni sottolineano l’importanza di santificare la persona di Dio e il proposito di Gesù di farci conoscere intimamente il Padre. Ma se il tetragramma non fosse stato presente nel Nuovo Testamento e pronunciato dai primi discepoli di Cristo queste espressioni avrebbero poco senso. Facciamo un esempio tratto dal nome del Figlio di Dio.
Atti 4:12 dice che non c’è salvezza in nessun nome se non in quello di Gesù. Nessuno pensa che la semplice invocazione del nome del Signore Gesù o il semplice fatto di conoscerne la pronuncia originale rechi la salvezza. È evidente che questo brano (come altri simili) indicano l’importanza di esercitare fede nel sacrificio di Cristo. (Giovanni 3:16) Ma questo significa che il Figlio di Dio non abbia un nome personale che deve essere usato nell’adorazione? Giustifica questo il sostituire il nome del Figlio di Dio con titoli come “Signore” o “Maestro”?
Allo stesso modo i brani del Nuovo Testamento che fanno riferimento alla conoscenza del nome di Dio per la salvezza pur indicando l’importanza di conoscere la persona rappresentata dal nome sottintendono chiaramente l’uso di tale nome nell’adorazione – Atti 2:21
Quinto punto. Matteo compose il suo Vangelo in ebraico Nel IV secolo, Girolamo, traduttore della Vulgata latina, riferì: “Matteo, che è anche Levi, e che da pubblicano divenne apostolo, per primo compose un Vangelo di Cristo in Giudea nella lingua e nei caratteri ebraici... Non si sa con sufficiente certezza chi l’abbia poi tradotto in greco. Inoltre l’ebraico stesso è conservato fino a questo giorno nella biblioteca di Cesarea”.
Eusebio, nella Storia Ecclesiastica, riportando le parole di Papia dice:
“Matteo raccolse i detti [di Gesù] nella lingua degli ebrei, traducendoli ognuno come poteva“
Ireneo (II secolo e.v.)nella sua opera Contro le eresie scrisse:
“Matteo pubblicò presso gli ebrei, nella sua lingua materna, uno scritto di Vangelo.“
All’inizio del III secolo Origene, parlando dei Vangeli, fa riferimento a quello di Matteo, e riportando le sue parole Eusebio dice:
“per primo fu scritto quello Secondo Matteo, il quale era stato un tempo publicano, poi apostolo di Gesù Cristo, . . . nella lingua degli Ebrei“.
Le evidenze circa la stesura originaria in ebraico del Vangelo di Matteo sono enormi e inconfutabili. Dato che Matteo scrisse in ebraico, è inconcepibile che non abbia usato il nome di Dio, specialmente nel citare brani dell’”Antico Testamento” che lo contenevano.
Questo è evidente paragonando Matteo 22:44 con Salmo 110:1. Quest’ultimo nel testo masoretico (Scritture Ebraiche) dice: “Espressione di Geova (ebraico YHWH) al mio Signore” (ebraico ADONAY, greco Kyrios). Il testo greco attualmente in nostro possesso recita: “Il Signore (greco Kyrios) ha detto al mio Signore (greco Kyrios). È chiaro che in questo modo la citazione del Salmo contiene una ripetizione priva di senso (“Signore” riferita al Padre e “mio Signore” riferita a Gesù). Con quale autorità Matteo, nel citare il Salmo 110:1 avrebbe sostituito il tetragramma, YHWH, con Kyrios? (Deuteronomio 12:32) Il prof. Gorge Howard ha scritto in merito: “La chiesa del I secolo leggeva probabilmente ‘YHWH ha detto al mio Signore’ anziché la versione successiva ‘Il Signore ha detto al mio Signore,...che è sia ambigua che imprecisa’.- Journal of Biblical Literature, vol.96, N° 1, marzo 1977, pag. 77
Infatti alcuni traduttori, per risolvere l’incoerenza del testo sostituiscono a Signore (riferito al Padre) il termine Dio o addirittura altri titoli (vedi la Bible en francais courant, The Linving Bible, Il Nuovo Testamento in lingua moderna e altre versioni in italiano, inglese, francese e tedesco). C’è da dire che nessuno grida allo scandalo per questa sostituzione. Nessun critico si ribella all’inserimento del termine Dio al posto di Kyrios (Signore).
Stranamente, quando la Traduzione del Nuovo Mondo, basandosi sulle prove indirette fin qui esposte usa il nome GEOVA, tutti diventano puristi del greco neotestamentario e gridano che nei manoscritti, c’è Kyrios (Signore) e non Geova. Ma nei manoscritti non c’è scritto Dio (greco Theòs). Ma nessuno dice nulla... Purismo o avversione per il nome divino?
I soliti critici fanno rilevare che Girolamo e altri nel dire che Matteo scrisse in ebraico non dicono nulla della presenza del tetragramma. Ma questa obiezione è pretestuosa.
Wolfgang Feneberg osserva nella rivista dei gesuiti Entschluss/Offen (aprile 1985): “Egli [Gesù] non trattenne da noi il nome di suo Padre YHWH, ma ce l’affidò. È altrimenti inspiegabile come mai la prima richiesta della preghiera del Signore dica: ‘Sia santificato il tuo nome!'” Feneberg osserva anche che “nei manoscritti precristiani ad uso degli ebrei di lingua greca il nome di Dio non era parafrasato con kýrios [Signore], ma era scritto in forma di tetragramma [YHWH] in caratteri ebraici o ebraico-arcaici... Troviamo reminiscenze del nome negli scritti dei Padri della Chiesa; ma a loro esso non interessava. Nel tradurre questo nome kýrios (Signore), ai Padri della Chiesa interessava di più attribuire la grandezza del kýrios a Gesù Cristo”. Questo spiega sicuramente perché Girolamo e altri non ne parlano. L’apostasia dalla vera adorazione e l’influsso della filosofia greca avevano contaminato il cristianesimo.
Il professore Howard spiega cosa accadde: “Pertanto, verso l’inizio del secondo secolo, l’uso di sostituti [del nome di Dio] deve aver fatto sparire il Tetragramma da entrambi i Testamenti. Dopo non molto il nome divino scomparve completamente dalla chiesa gentile salvo riflettersi nei sostituti contratti o essere ricordato ogni tanto dagli eruditi... Fu forse tale ristrutturazione del testo a far sorgere in seguito le controversie cristologiche [sulla natura di Cristo] in seno alla chiesa, e i passi del NT oggetto di queste controversie erano identici a quelli che nell’èra del NT non crearono evidentemente nessun problema?... Gli studi [cristologici attuali] si basano sul testo del NT come appariva nel primo secolo, o si basano su un testo alterato che rappresenta un periodo nella storia della chiesa in cui la differenza tra Dio e Cristo divenne confusa nel testo e poco chiara nella mente degli uomini di chiesa?”
Questo spiega perché dal secondo secolo in poi il nome divino viene usato meno frequentemente e perché gli scrittori successivi all’epoca apostolica non lo menzionano.
Un’altra prova indiretta della presenza del nome divino nelle Scritture Greche Cristiane è data da:
Sesto punto. Un trattato polemico anticristiano scritto nel XIV secolo dal medico ebreo Shem-Tob ben Isaac Ibn Shaprut.
Quest’opera contiene un testo ebraico del Vangelo di Matteo. Si ha motivo di ritenere che, anziché essere una retroversione dal latino o dal greco fatta all’epoca di Shem-Tob, questo testo di Matteo sia molto antico e sia stato scritto sin dall’inizio in ebraico.
In questo testo di Matteo ricorre 19 volte l’espressione hash•Shem’, per esteso o abbreviata. L’espressione ebraica hash•Shem’ significa “il Nome”, ed è una circonlocuzione per il nome divino.
Secondo “New Testament Studies” il testo ebraico usato da Shem-Tob per riportare il vangelo di Matteo nella sua opera risale ad una data compresa nei primi quattro secoli dell’era cristiana quindi molto vicino all’originale.
Dello stesso avviso è il prof.Howard che scrive: “il testo ebraico di Matteo di Shem-Tob risalga all’incirca a una data compresa nei primi quattro secoli dell’era cristiana”.
Egli continua: “La presenza del Nome Divino in un documento cristiano citato da un polemista ebreo è degna di nota. Se questa fosse la traduzione ebraica di un documento cristiano in greco o in latino, ci si aspetterebbe di trovare nel testo adonai [Signore], non un simbolo del nome divino ineffabile, YHWH. Non ho alcuna esitazione ad affermare che la presenza del Nome Divino in posti dove il testo canonico non ha alcun riferimento al Signore esclude Shem-Tob come l’autore di questo testo. Non è possibile che un pio ebreo abbia voluto nobilitare un testo cristiano inserendo il nome divino. Sarebbe inspiegabile se fosse stato lui ad aggiungere il nome ineffabile. Ci sono validi motivi per ritenere che Shem-Tob abbia ricevuto la sua copia di Matteo col Nome Divino già nel testo e che probabilmente abbia deciso di conservarlo piuttosto che incorrere nella colpa di toglierlo”. – Hebrew Gospel of Matthew, Macon, 1995, pp. 230, 231.
Quanto peso può avere un manoscritto ebraico medievale che usa il nome divino rispetto a manoscritti greci molto più antichi che non lo fanno? Per rispondere a questa domanda si consideri quanto accade con le Scritture Ebraiche. In effetti, eccezion fatta per i rotoli del Mar Morto, i più antichi manoscritti delle Scritture Ebraiche sono scritti in greco, mentre le versioni ebraiche risalgono al Medioevo. Eppure, la stragrande maggioranza dei traduttori biblici opta per questi ultimi. Per quale ragione? Un docente di Antico Testamento spiega: “Gli studi biblici hanno dimostrato che i manoscritti ebraici riflettono un testo molto antico.” Di conseguenza , si dà maggiore peso ai manoscritti ebraici, seppur meno antichi di quelli greci. Perché, allora, non si può fare altrettanto per il Matteo di Shem-Tob, quanto meno per quel che riguarda il nome divino?
Queste prove indirette indicano che il Tetragramma era usato in epoca apostolica e venne certamente incluso nella compilazione degli scritti neotestamentari.
Conclusione
I critici, puristi sfegatati quando si tratta del nome divino e dei Testimoni di Geova, dicono che il ripristino del nome nelle Scritture Greche Cristiane è un’ipotesi non suffragata dai fatti e che la Traduzione del Nuovo Mondo abusa di un’ipotesi.
Ma come abbiamo visto le prove indicate sono valide e giustificano il ripristino del nome divino nelle Scritture Greche Cristiane. A conferma della validità di questa tesi si consideri quanto fu scritto prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto e quindi prima di avere la prova definitiva che il nome divino era utilizzato nella versione greca della Bibbia ebraica.
“Se quella versione [LXX] avesse ritenuto il termine [Geova], oppure avesse usato un termine greco per Geova e un altro per Adonai, tale uso sarebbe stato senz’altro seguito nei discorsi e nelle argomentazioni del N. T. Quindi nostro Signore, nel citare il 110° Salmo 110, invece di dire ‘Il Signore ha detto al mio Signore’, avrebbe potuto dire: ‘Geova ha detto ad Adoni'”. – R. B. Girdlestone, Synonyms of the Old Testament, 1897, p. 43.
Proseguendo il ragionamento (che ora risulta basato su fatti reali) viene detto: “Supponiamo che uno studioso cristiano stesse traducendo in ebraico il Testamento Greco: ogni volta che incontrava il termine Kurios, egli avrebbe dovuto valutare se nel contesto c’era qualche cosa che indicasse il vero corrispondente ebraico; e questa è la difficoltà che sarebbe sorta nel tradurre il N.T. in qualsiasi lingua se il titolo Geova fosse stato lasciato nell’A.T. [LXX]. Le Scritture Ebraiche avrebbero costituito una norma per molti brani: infatti ogni volta che ricorre l’espressione ‘l’angelo del Signore’, sappiamo che il termine Signore rappresenta Geova; si poteva giungere a una conclusione simile per l’espressione ‘la parola del Signore’, secondo il precedente stabilito dall’A.T.; e così anche nel caso del titolo ‘il Signore degli Eserciti’. Quando invece ricorre l’espressione ‘Mio Signore’ o ‘Nostro Signore’, dovremmo sapere che sarebbe inammissibile il termine Geova, e si dovrebbe usare Adonai o Adoni”. (R. B. Girdlestone, op. cit., p. 43)
Oggi questo ragionamento risulta basato su fatti incontestabili, in quanto ci sono i manoscritti della Settanta che conservano il nome divino. Per questa ragione oltre la Traduzione del Nuovo Mondo anche altre traduzioni delle Scritture Greche contengono il nome Geova o una forma del Tetragramma.
A quanti obbiettano che queste prove non sono conclusive e che i manoscritti più antichi del Nuovo Testamento non hanno il Tetragramma, facciamo questa osservazione: Prima della scoperta dei rotoli del Mar Morto, i più antichi manoscritti del Vecchio Testamento allora disponibili, copie della Settanta di origine cristiana, non contenevano il Tetragramma. Ciò nonostante, diverse traduzioni della Bibbia sia cattoliche che protestanti, basandosi su considerazioni teologiche e su codici ebraici posteriori alla Settanta della chiesa cristiana (i manoscritti del Testo Masoretico risalgono al medioevo) riportavano, chi poche, chi migliaia di volte, il nome divino, senza incorrere nell’accusa di aver alterato il testo sacro o di aver abusato di un’ipotesi.
Perché allora muovere tale accusa a chi segue lo stesso criterio nel ripristinare il tetragramma nelle Scritture Greche Cristiane? Purismo o avversione per il Nome Divino? Non è forse indice di pregiudizio religioso nei riguardi dei Testimoni di Geova?
Altre osservazioni pretestuose che obbiettano l’uso del nome divino nelle Scritture Greche Cristiane, riguardano l’uso da parte di Gesù del termine Padre riferito a Dio, l’assenza di qualsiasi menzione del tetragramma nel discorso di Paolo agli ateniesi e l’assenza di qualsiasi accenno al nome divino (e quindi di un suo ripristino) in diversi libri delle Scritture Greche Cristiane.
Osserviamole con attenzione.
Il fatto che Dio venga chiamato Padre non indica che questo sia il suo nome. Il termine “padre” si applica a ogni genitore umano e descrive anche altre relazioni umane. (Romani 4:11, 16; 1 Corinti 4:15) Al Messia viene dato il titolo di “Padre eterno”. (Isaia 9:6) Gesù chiamò Satana “padre” di certi oppositori accaniti. (Giovanni 8:44) Il termine veniva applicato anche agli dèi delle nazioni, tanto che il dio greco Zeus era rappresentato nella poesia omerica come il grande dio padre. Che “Dio, il Padre” abbia un nome, nome diverso da quello di suo Figlio, è indicato in numerosi versetti. Per esempio in Rivelazione 3:12: “Colui che vince, lo farò colonna nel tempio del mio Dio, e non [ne] uscirà mai più, e scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, la nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, e quel mio nuovo nome.” Oppure in Rivelazione 14:1 leggiamo: “E vidi, ed ecco, l’Agnello stava sul monte Sion, e con lui centoquarantaquattromila che avevano il suo nome e il nome del Padre suo scritto sulle loro fronti.” Dio Padre ha un nome personale, Geova.
Circa l’osservazione che Paolo non usò il Tetragramma nel suo discorso agli Ateniesi riportato in Atti capitolo 17 c’è da dire che Paolo non usò neppure il nome di Gesù, a cui si riferì come “un uomo”. (Atti 17:31) Ma questo vuol forse dire che il nome di Gesù non sia importante o non si debba più usare? – Atti 4:12; 10:43.
L’ultima obiezione riguarda l’assenza di qualsiasi accenno al nome di Geova in diversi libri delle Scritture Greche Cristiane nella traduzione del Nuovo Mondo. I critici domandano: se il nome Geova è così importante come mai è totalmente assente dal testo della Traduzione del Nuovo Mondo di almeno 7 lettere apostoliche?
Risposta: il nome divino è assente pure dal libro di Ecclesiaste, dal Cantico di Salomone (a parte un luogo dove compare nell’abbreviazione Jah) e dal libro di Ester. Ma significa questo che non sia importante nelle Scritture Ebraiche? (Isaia 42:8) Se è per questo il libro di Ester non menziona neppure una volta Dio e la terza lettera di Giovanni non fa alcun accenno a Gesù. Significa che il libro di Ester non dia importanza all’adorazione di Dio o che Giovanni scoraggi l’uso del nome del Figlio di Dio?
Sembra evidente che gli scrittori biblici usarono il nome divino, il nome del Figlio di Dio e i titoli riferiti all’uno e all’altro con naturalezza anche se prevalentemente usarono il Tetragramma per riferirsi a Dio. L’insegnamento biblico è chiaro: Dio ha un nome con il quale vuole essere conosciuto e adorato. – Isaia 42:8; 12:2-4.
Le osservazioni dei critici non reggono pertanto ad un accurato esame. Sono pretestuose. In molti casi sono vere e proprie bestemmie verso il loro stesso Dio e che è lo stesso Dio che i Testimoni di Geova adorano. Questo è un comportamento strano e scorretto. I Testimoni di Geova non rendono culto ai santi cattolici. Ma non per questo li bestemmiano o li ingiuriano. Non sarebbe giusto che i cosiddetti critici mostrassero il loro dissenso dottrinale rispettando il nome divino ed evitando di bestemmiarlo o ingiuriarlo? Questa acrimonia verso il nome divino è sospetta. La Bibbia dice: “Pensano di far dimenticare al mio popolo il mio nome per mezzo dei loro sogni che continuano a narrarsi l’un l’altro, proprio come i loro padri dimenticarono il mio nome per mezzo di Baal.” (Geremia 23:27)
Al tempo di Geremia i falsi profeti cercarono di far dimenticare il nome divino (quindi distogliere dall’adorazione del vero Dio) con falsi sogni e visioni e insegnamenti apostati. Oggi i cosiddetti critici, con argomenti pretestuosi, cercano di nascondere una incontestabile verità: “Dio ha un nome. Anonima è la miseria su questa terra, anonima la malvagità tra gli esseri umani, poiché le tenebre amano l’anonimato. Lettere anonime, senza nome, lettere senza firma, sono di solito lettere abiette. Ma Dio non è un anonimo autore di lettere. Dio mette il suo nome in tutto quello che fa, permette e dice; Dio non deve temere la luce del giorno. Il diavolo ama l’incognito; DIO HA UN NOME” – Walter Luthi, Das Unservater, Basel, 1946, pag. 18.