I Testimoni di Geova e i trapianti d’organi


“Sulla coscienza di chi pesano le menomazioni o forse anche le vite di quei testimoni di Geova che non hanno potuto curarsi nel migliore dei modi perché negli anni tra il 1968 e il 1980 per non essere disassociati, non hanno accettato – anche nei casi di estrema necessità – di ricorrere al trapianto di organi?” (Il grassetto è nostro).

Trovate scritta questa affermazione a dir poco scioccante in un libro polemico contro i Testimoni di Geova. Gli stessi concetti si trovano espressi in diversi siti internet di critici e detrattori. L’accusa prende le mosse dalla posizione negativa verso i trapianti d’organo assunta dai Testimoni di Geova verso la fine degli anni ’60. Ciò che viene criticato non è tanto il pensiero negativo verso i trapianti – posizione che anche oggi diversi non Testimoni continuano ad avere per indiscutibili motivi personali – ma il fatto che per tutto il periodo in cui i Testimoni condivisero questo modo di vedere le cose “forse” (dicono i critici) molti morirono o rifiutarono di essere adeguatamente curati subendo menomazioni fisiche e fecero questo per paura di essere disassociati o scomunicati dalla loro chiesa. Questi critici dicono che se il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova sbagliò in una questione così delicata come quella dei trapianti di organo provocando mutilazioni e morti , con l’aggravante di farlo con il ricatto morale della disassociazione, allora potrebbe sbagliare su qualsiasi altro argomento – dottrinale e morale – e la sua pretesa autorità di rappresentare Dio risulterebbe priva di fondamento. Anzi alla luce di questa posizione contraddittoria – sostengono costoro – sarebbe saggio diffidare di qualsiasi insegnamento proposto dai Testimoni di Geova in quanto non si potrà mai essere sicuri per quanto tempo verrà ritenuto come verità di Dio, e le conseguenze per aver creduto a tali dottrine mutevoli possono essere disastrose.

Ma sono fondate tali critiche? Come stanno realmente i fatti? Vediamo di fare un pò di chiarezza.

La Torre di Guardia del 15 marzo 1968 (pp. 190-2; ed. inglese, 15 novembre 1967, pp. 702-4), era senz’altro orientata in senso negativo verso i trapianti tra esseri umani, e i testimoni di Geova dell’epoca erano quindi generalmente contrari a questo trattamento sanitario. Eppure, a ben leggere, quell’articolo concludeva così: “Da questa considerazione dovrebbe risultare evidente che i cristiani i quali sono stati illuminati dalla Parola di Dio non devono prendere queste decisioni semplicemente in base al capriccio o all’emozione. Possono considerare i princìpi divini riportati nelle Scritture e servirsene per prendere decisioni personali mentre si rivolgono a Dio per essere guidati, confidando in lui e riponendo la loro fiducia nel futuro che egli riserva a quelli che lo amano”. In ultima analisi, quindi, la decisione era lasciata alla persona.

Diversamente da quello che alcuni pensano, i Testimoni non compilano lunghi elenchi “talmudici” di comportamenti proscritti: si attengono piuttosto alle esplicite norme e ai princìpi generali esposti nella Bibbia. Va altresì tenuto presente che negli anni cui si fa riferimento il trapianto era prassi medica molto rara anche per la popolazione in generale; a maggior ragione, i testimoni di Geova, essendo relativamente pochi, avevano molto raramente a che fare con queste situazioni, che erano nel loro caso del tutto eccezionali. E questo renderebbe priva di fondamento l’accusa secondo cui negli anni tra il 1968 e il 1980 i Testimoni di Geova «non hanno potuto curarsi nel migliore dei modi». In quel periodo i trapianti non erano ancora il “modo migliore” per curarsi da certe patologie.

Inoltre nessuna pubblicazione o sito internet critico verso i Testimoni, pur insinuando che “forse” ci furono molte morti, ha mai portato uno straccio di prova. Se Testimoni di Geova fossero morti come diretta conseguenza del rifiuto di un trapianto dovrebbero essere disponibili le testimonianze. Invece nulla. O meglio quasi, perché generalmente vengono riportate due esperienze. Una di Dolores Bussellman (una testimone di Geova morta negli anni ’70 per leucemia) e una di un ragazzo che accettò di farsi spiantare un rene ma rifiutò di donarlo.

Riportiamo, per amore dell’argomento, l’esperienza di Dolores Busselmann:

“Gary’s first wife had been a devout Jehovah’s Witness, always active in the Watchtower. She was diagnosed as having leukemia, a serious but not necessarily fatal disease”

Traduzione:

“La prima moglie di Gary era stata una devota Testimone di Geova , sempre attiva nella Watchtower. Le fu diagnosticata la leucemia, un malattia seria ma non necessariamente fatale”

Quale malattia aveva la moglie di Bussellmann? La leucemia. E avete notato in che modo i medici definirono la malattia? Seria ma non fatale.


Andiamo avanti:

“The doctors strongly encouraged the dear woman to have a bone marrow transplant, as this would allow her about a 50% chance of recovery.”

Traduzione:

“I dottori incoraggiarono fortemente la cara donna a sottoporsi ad un trapianto di midollo osseo, cosa che le avrebbe permesso di avere circa il 50% di opportunità di ristabilimento.”

II dottori suggerirono il trapianto di midollo osseo. Il trapianto di midollo necessita successivamente di trasfusioni di globuli rossi e piastrine. Questo perché prima di procedere al trapianto di midollo il paziente viene sottoposto a chemioterapia intensiva che distrugge totalmente il midollo ammalato.

Su internet abbiamo trovato delle utili informazioni sugli effetti della chemio terapia, per esempio:

“La maggior parte dei farmaci chemioterapici induce mielosoppressione, cioè la distruzione delle cellule staminali e progenitrici contenute nel midollo osseo. In maniera più o meno selettiva, tutte e tre le linee ematopoietiche sono compromesse: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. ... La trasfusione di sangue si rende necessaria quando l’emoglobina scende al di sotto di 8 g/dL. ... Le trasfusioni piastriniche sono indicate quando la conta piastrinica è <15,000.” (dal sito http://www.italmed.com)

Un altro sito riportava le seguenti informazioni riguardo ai trapianti di midollo:

LA FASE APLASTICA

E’ il periodo di scomparsa del midollo vecchio, nell’attesa che il midollo nuovo possa produrre globuli rossi, bianchi e piastrine. Questa è la fase più delicata di tutta la degenza poiché il paziente, privo di difese, può presentare febbre ed infezioni. [...]

LA RIPRESA EMATOLOGICA

L’attecchimento avverrà generalmente entro le tre settimane con la comparsa dei globuli bianchi. ...Le piastrine crescono più lentamente ed è possibile la trasfusione di concentrati piastrinici anche dopo 40 giorni dal trapianto. Lo stesso discorso avviene per i globuli rossi; addirittura i pazienti che ricevono il midollo da un donatore di gruppo sanguigno diverso possono avere la necessità di trasfusioni per 4 mesi.”

Come si può vedere il trapianto di midollo richiede a tutt’oggi continue trasfusioni di sangue. Negli anni ’70 era praticamente impossibile evitare le trasfusioni di sangue a seguito di un trapianto di midollo. Quindi i testimoni di Geova in genere si astenevano dal trapianto di midollo per l’inevitabilità della trasfusione di sangue a cui obbiettano per le ragioni note.

È evidente che la moglie di Gary Bussellmann evitò il trapianto per obbedire alla legge di Dio sul sangue e non perché temeva di essere disassociata se avesse accettato il trapianto. Questo fatto viene generalmente ignorato da coloro che usano questa esperienza perché è più comodo far colpo sull’l’opinione pubblica con l’affermazione che il punto di vista dei Testimoni provocò morti che dire la verità riportando anche l’esatto contesto storico, scientifico e religioso in cui si svolsero i fatti.

Il messaggio che traspare è:

Come può il CD stabilire una proibizione appellandosi alla legge di Dio (e disassociando i dissidenti) e poi eliminare quella stessa proibizione? Sulla coscienza di chi gravano i morti per quella proibizione?

La verità è che l’unico caso citato dagli oppositori non riguarda il rifiuto di un trapianto perché proibito dalla Legge divina ma il rifiuto di una terapia che avrebbe comportato l’uso di sangue. E a prescindere da cosa pensiate del punto di vista dei Testimoni sul sangue è evidente che Dolores Busselmann non morì per non essersi curata adeguatamente. Quindi non è affatto vero che ci furono “molti” morti per rifiuto dei trapianti.

La seconda esperienza citata è quella riportata nella Torre di Guardia del 1/6/1970 (pag. 349) come prova che i Testimoni di Geova consideravano l’accettare trapianti o donare organi come una violazione della legge di Dio. Citano alcune frasi al di fuori del contesto facendo dire all’articolo ciò che non dice. Leggiamo le frasi incriminate:

“Il giorno prima dell’operazione il capo dell’équipe per i trapianti di reni venne a chiedermi se accettavo di mettere il rene cui rinunciavo a disposizione di un giovane paziente i cui reni avevano smesso di funzionare. Pare che, sebbene l’arteria che alimentava il rene non funzionasse, il rene stesso fosse in buone condizioni. Il medico desiderava avere il mio rene, ma gli spiegai che come testimone di Geova dovevo conformarmi a quello che indica la legge di Dio a tale riguardo.”

Secondo i critici la risposta della persona che racconta questa esperienza (tutto l’articolo è il riporto fedele di una lettera inviata alla sede centrale dei Testimoni di Geova) indica che donare un organo fosse considerato all’epoca una violazione della Legge di Dio. Nessuno di loro però ha mai scritto quale sia il titolo dell’articolo presente sulla Torre di Guardia del 1970 e cioè: «Apprezzata la protezione di Geova - quella che segue è una lettera di un adolescente che rispettava la legge di Dio riguardo al SANGUE»

Notiamo alcuni particolari:

  1. Non è un articolo scritto dal Corpo Direttivo ma è il riporto di una lettera privata;

  2. Lo scopo della lettera non è dimostrare che rifiutare i trapianti è giusto quanto quello delle benedizioni derivanti dall’obbedire alla legge di Dio su l sangue.

Infatti al sottotitolo «difficile decisione» il Testimone che racconta l’esperienza scrive :

“Fu indicato che l’intervento chirurgico era il mezzo più promettente per recarmi sollievo. Il principale urologo interno mi offrì un’alternativa: Poteva riparare l’arteria e salvare metà del rene con l’aiuto di TRASFUSIONI DI SANGUE o togliere completamente il rene senza ricorrere alla trasfusione...

La riparazione dell’arteria avrebbe comportato una forte emorragia postoperatoria. D’altra parte, potevo sopravvivere e andare avanti bene con un solo rene sano. SCELSI DI FARMI TOGLIERE IL RENE”.

Avete notato? Quando gli chiedono se vuole salvare il suo rene accettando una trasfusione, il TdG risponde in modo categorico: «SCELSI DI FARMI TOGLIERE IL RENE». Lo scelse lui, e per di più non si rileva nessun gap temporale fra la domanda e la risposta!

A questo punto il medico gli chiede di donare l’organo ad un altro malato. La risposta fu:

...gli dissi che come Testimone di Geova dovevo conformarmi a quello che indica la legge di Dio a tale riguardo.

Questa frase era valida negli anni ’70 come lo è ancora oggi per ogni Testimone di Geova.

Gli dissi che avrebbe ricevuto una franca ed esauriente risposta alla sua domanda dopo che avessimo considerato in famiglia ciò che dice la Parola di Dio al riguardo.

Dopodiché, questo TdG comunica il suo rifiuto a cedere il rene ad un altro paziente.

Se in quegli anni il rifiuto dei trapianti fosse stato categorico e tassativo, come si spiega che per donare l’organo, il TdG dovette invece parlarne in famiglia prima di decidere?

Se il divieto dei trapianti era assimilabile a quello delle trasfusioni... possiamo realisticamente pensare che un TdG dovesse prima discuterne in famiglia?

Se il precetto divino «rifiuto sangue» fosse realmente equiparato al «rifiuto trapianti» è come se arrivasse un medico e chiedesse al TdG... «guarda che ti devo trasfondere» e il TdG gli rispondesse «..mi scusi ma, prima devo andare a casa per parlarne in famiglia...»

L’assurdità di quanto affermano gli oppositori è chiaramente in evidenza.

Il fratello dell’esperienza ebbe due reazioni totalmente diverse ad indicare che i trapianti non erano visti con la stessa ottica delle trasfusioni. Ovvero le trasfusioni erano e sono rifiutate per motivi noti, i trapianti erano una decisione personale, da prendersi in famiglia.

Ma perché il nostro fratello TdG in questa esperienza scrive:

“Rispondendo gli dissi che non potevo dargli il mio rene perché non mi apparteneva, e che lo si doveva usare in armonia con la volontà di Colui che lo aveva creato”?

Quella che è riportata nella Torre di Guardia, è una ESPERIENZA PERSONALE! Il fratello insieme alla sua famiglia decise di non acconsentire alla donazione. In piena libertà decise che tale suo rifiuto fosse in armonia con la volontà divina.

Che sia giusta o meno questa sua conclusione non ha importanza. Quello che è importante è che fu una sua decisione personale, come mostra chiaramente il fatto che dovette prima parlarne in famiglia.

Viene perciò totalmente destituita di fondamento la tesi secondo cui a motivo di un punto di vista morale poi abbandonato il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova provocò molte morti.

Che dire dell’accusa secondo cui questo punto di vista fu imposto pena l’espulsione o disassociazione?

È vero che i Testimoni nei confronti di chi commette una gravissima trasgressione biblica, e non si pente né intende ravvedersi, seguono la prassi biblica dell’espulsione, o disassociazione, a somiglianza del modello lasciatoci dai primi cristiani. (1 Corinti 5:9-13) Da un esame delle nostre pubblicazioni, negli anni in questione le cause di allontanamento dalla congregazione erano soprattutto legate a immoralità di natura sessuale, furto, menzogna e, a partire da metà anni ’70 circa, uso voluttuario di droghe e tabacco, o simili. (1 Corinti 6:9-11; 2 Corinti 7:1) Che dire del “punto di vista giudiziario” (per usare l’espressione di alcuni critici) tenuto allora nelle nostre comunità? Anzitutto dobbiamo precisare che questa mentalità “giudiziaria” non ci è propria. Inoltre, dalle nostre pubblicazioni non risultano indicazioni di natura “giudiziaria” da tenere nei confronti di qualcuno (posto ci fosse stato) che avesse deciso di sottoporsi a trapianto: se non altro, non risulta che questo sia accaduto in Italia.

Coloro che affermano che ci furono morti e mutilati sotto il ricatto morale della disassociazione dovrebbero presentare le prove dell’esistenza di un simile procedimento disciplinare verso coloro che accettavano un trapianto o donavano un organo. Invece nulla. Oltre alla rivista del 1968 e fino al 1980, sui trapianti, dal punto di vista dottrinale e disciplinare, nelle pubblicazioni dei testimoni di Geova non si legge nulla.

Il libro di catechesi di base dell’epoca “La Verità che conduce alla vita eterna” alle pag. 163-169 contiene una trattazione esaustiva sul sangue e sulle trasfusioni. Ma nulla sui trapianti. Come mai, se secondo i nostri critici, era un aspetto fondamentale della Legge di Dio per i Testimoni dell’epoca?

Allora come oggi, i candidati al battesimo come Testimoni di Geova, riesaminano le principali dottrine bibliche con gli anziani usando come base le domande stampate in un apposito libro di testo. Nei libri usati in quegli anni – “La tua parola è una lampada al mio piede” e il libro “Organizzazione per predicare il Regno e fare discepoli” – si esaminano tutte le norme morali dei Testimoni di Geova, inclusa quella controversa sulle trasfusioni di sangue, ma non si dice nulla sui trapianti. Come mai, se secondo i nostri critici, i Testimoni di Geova consideravano accettare un trapianto o donare un organo una violazione della Legge di Dio?

La risposta la troviamo nello stesso articolo del 1968. Leggiamo:

“Possono considerare i princìpi divini riportati nelle Scritture e servirsene per prendere «decisioni personali» mentre si rivolgono a Dio per essere guidati, confidando in lui e riponendo la loro fiducia nel futuro che egli riserva a coloro che lo amano”. – Prov. 3:5,6; Sal. 119:105.

Sì, i trapianti, pur essendo considerati all’epoca in maniera estremamente negativa, non erano assolutamente equiparati alla violazione di una legge morale di Dio. Non c’è dubbio che l’articolo della Torre di Guardia del 1968 influenzò negativamente il punto di vista dei Testimoni verso i trapianti ma è altrettanto vero che non stabilì alcun provvedimento disciplinare verso chi violava questa “norma” come non è vero che ci furono “molte morti”.

Persino gli ex-Testimoni vissuti in quegli anni, pur raccontando che i trapianti erano visti in maniera negativa, non hanno mai riferito di casi di disassociazione per trapianto o di morti per rifiuto di trapianti. Eppure se queste esperienze ci fossero possiamo star certi che le tirerebbero fuori.

Perché, ci si potrebbe chiedere, all’epoca ci fu questo irrigidimento verso i trapianti di organo?

Ci permettiamo di osservare che può essere molto facile — specie per chi non ha concretamente vissuto (magari anche solo per ragioni anagrafiche) nel periodo in questione — commettere errori di prospettiva storica, e giudicare i fatti di allora sulla scorta dei nostri standard attuali. Oggi la trapiantologia è ben affermata e il ricorso al trapianto è tutt’altro che episodico. Dalle fonti, però, si rileva che ancora dopo la metà degli anni ’70 il solo “rischio di rigetto” per il trapianto di rene (per non parlare di altri tipi di trapianti più complessi) era del 15-20%: pertanto, ancor prima dell’ipotetica, eventuale “obiezione di coscienza” posta dal singolo Testimone, la via dei trapianti era ardua in primo luogo per la scienza medica stessa. In effetti, il problema principale, rimaneva legato al rigetto, cioè a quel complesso di reazioni biologiche in base al quale l’organismo tende a rifiutare l’organo trapiantato riconoscendolo come estraneo.

A tal proposito bisogna tener presente che anche il parere medico dell’epoca nei confronti dei trapianti era diverso da quello attuale. Infatti è interessante l’articolo “Bisturi a doppio taglio” di Ignazio R. Marino (direttore dell’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione di Palermo e docente di Chirurgia presso l’Università di Pittsburgh, USA) pubblicato dal sito Galileo – Giornale di scienza.

Ne riportiamo alcuni stralci:

I trapianti d’organo possono essere efficacemente definiti come una risorsa terapeutica che è essenzialmente “vittima” del proprio successo. Infatti, il ricorso al trapianto di un organo nella terapia della insufficienza terminale dello stesso (sia esso cuore, polmone, fegato, rene, pancreas o intestino) è stato in un primo tempo utilizzato come terapia straordinaria. All’inizio dell’applicazione clinica dei trapianti d’organo, le difficoltà sembravano insormontabili e i successi estremamente rari: la mortalità dopo il trapianto di un organo rimaneva elevata durante gli anni ‘60 e ancora negli anni ‘70. I pazienti sottoposti ad un intervento di trapianto erano considerati, per la gravità della loro malattia, al di fuori di ogni altro protocollo terapeutico. [...]In altre parole, in quegli anni, veniva inviata al chirurgo una popolazione di pazienti per i quali non era individuabile nessun’altra forma di terapia e che venivano, pertanto, considerati “condannati a morte”.

La convinzione che il trapianto costituisse una risorsa a cui ricorrere soltanto per pazienti per i quali erano state esaurite tutte le altre possibilità terapeutiche e che si trovavano nel disperato quesito di scelta tra la morte e una chance offerta da un trapianto d’organo, era del resto giustificata dai risultati. Infatti, dal primo trapianto di fegato eseguito il 1 Marzo 1963, che si concluse con la morte al tavolo operatorio, per emorragia, del paziente (un bambino di 3 anni affetto da atresia delle vie biliari), alla prima sopravvivenza, passarono oltre 4 anni. Il 23 luglio 1967, un bambino venne sottoposto – sempre a Denver da Thomas Starzl – al trapianto del fegato per un tumore e visse per oltre un anno. Tuttavia, per quanto riguarda il trapianto di fegato si dovettero attendere gli anni ‘70 per ottenere successi più significativi. Il 22 gennaio 1970 venne trapiantata, sempre a Denver, una bambina affetta da atresia delle vie biliari e contemporaneamente portatrice di un tumore del fegato (un carcinoma epatocellulare del diametro di 3 cm). Quella bambina è oggi una donna di 33 anni, felicemente sposata.

Le curve di sopravvivenza degli anni ‘70 indicano, per il trapianto di fegato, una mortalità, a 5 anni di distanza dall’intervento, vicina all’80%. Le stesse curve ripetute alla fine dell’ultimo decennio (1998) indicano una sopravvivenza dei pazienti, a 5 anni dal trapianto di fegato, pari all’80% (almeno nei maggiori centri del mondo). In altre parole, si è arrivati a curare pazienti terminali, con un’aspettativa di vita di poche settimane o pochi mesi, restituendo loro una buona qualità di vita per un lungo numero di anni. Le statistiche in questo caso ci aiutano a comprendere la portata del cambiamento: nell’ultimo trentennio si è passati da una percentuale di insuccesso dell’80% a una percentuale di successo dell’80%. Oggi, in 8 casi su 10, pazienti senza più speranza di vita ritornano a vivere mentre negli anni ‘60 e ‘70, questo avveniva solo in 2 casi su 10. Per molti dei malati trapiantati, inoltre, non si è trattato di pura sopravvivenza ma di un ritorno ad una vita piena. I progressi scientifici della ricerca nel campo dei trapianti d’organo hanno portato grandi successi ma hanno anche determinato una straordinaria discrepanza tra il numero dei pazienti iscritti nelle liste d’attesa per un trapianto di organo e l’effettiva disponibilità di organi per il trapianto. Questa problematica, più evidente in alcune aree del mondo (come, per l’Europa, l’Italia centro-meridionale e la Grecia) costituisce in ogni area del pianeta il principale fattore che limita l’ulteriore espansione della chirurgia dei trapianti. [...]

D’altra parte il successo straordinario di questa attività medica era certamente inaspettato e non prevedibile per la maggior parte dei membri della comunità scientifica internazionale 40-50 anni fa. Negli anni ‘50, quando Thomas Starzl, uno dei pionieri della storia dei trapianti, decise, dopo una tesi di dottorato in neurofisiologia, di dedicarsi alla chirurgia dei trapianti, lo fece perché si riteneva che vi fossero 2 grandi sfide nel mondo scientifico: i tumori ed i trapianti d’organo. Qualcuno disse a Starzl, allora trentenne, che la soluzione per i tumori era ormai dietro l’angolo, ma che i trapianti non sarebbero mai stati realizzabili clinicamente.

I potenti farmaci usati fino alla fine degli anni ’70 per combattere il rigetto, cioè l’aggressione dell’organo “nuovo” da parte del sistema immunitario del ricevente, provocavano sofferenze e in breve tempo la morte a causa di gravi infezioni, indotte appunto dall’immunosoppressione dei farmaci. Nella chirurgia dei trapianti è fondamentale il raggiungimento della tolleranza immunitaria, ossia dell’accettazione biologica, da parte dell’organismo ricevente, dell’organo o del tessuto estranei che gli sono stati innestati. Così nel fiordo di Hardaanger in Norvegia fu trovato un fungo contenente una sostanza che avrebbe rivoluzionato la chirurgia dei trapianti. La sostanza chiamata ciclosporina era in grado, finalmente, di controllare le reazioni di rigetto senza aumentare la suscettibilità alle infezioni nei pazienti. In questo senso, la scoperta e la successiva applicazione clinica dei farmaci immunosoppressivi capaci di contenere il rigetto dell’organo estraneo, modificò radicalmente la possibilità di successo dei trapianti di rene, fegato e cuore, nonché di altri. Perciò fu solo a partire dal 1980 che si modificò radicalmente la possibilità di successo dei trapianti d’organo e fu proprio in questo periodo che venne rivista la posizione dei Testimoni di Geova nei confronti dei trapianti, affermando che la donazione è questione di coscienza individuale fatto salvo che tutti gli organi e i tessuti devono essere completamente privi di sangue.

Comunque, è normale che di fronte ai problemi etici sempre nuovi posti dalle discipline mediche, le religioni si esprimano e anche modifichino il punto di vista in specifici campi: lo dimostra l’attuale polemica sull’impiego delle cellule staminali o sulla cosiddetta “riproduzione assistita”, con le nette prese di posizione di gran parte dei moralisti cattolici. Tornando al nostro argomento, oggi il cattolicesimo in generale non è contrario ai trapianti, ma prima di giungere a questa posizione è passato attraverso una fase essenzialmente contraria al cosiddetto omotrapianto, ovvero tra esseri della stessa specie (E. Chiavacci, Morale della vita fisica, EDB, Bologna 1976, pp. 64-81).

Nel suo libro Problemi di etica sanitaria del 1992 (Ancora, Milano, p. 189), il gesuita Giacomo Perico riconosce che fino a non molto tempo prima i trapianti suscitavano “ancora gravi riserve di carattere morale” per il cattolico (il corsivo è suo). Anche nel cattolicesimo, quindi, c’è stato uno sviluppo nel pensiero etico. Questo si può dire di altre religioni ancora. Così, solo a partire dal 1987-88, nell’ebraismo italiano e internazionale, le commissioni incaricate di esprimersi in materia hanno dato parere generalmente favorevole, pur con certe riserve (Alfredo Mordechai Rabello, “Donazione di organi. Comunicato dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia“, Ha Keillah, giugno 2000, pp. 12-13; Riccardo Di Segni, “Il punto di vista dell’ebraismo“, in “La donazione e il trapianto di organi e di tessuti“, Punto Omega, dicembre 2000 [anno II, n. 4], p. 34). Ecco un altro esempio di comprensibile evoluzione nel pensiero bioetico di una confessione religiosa. E andrebbe precisato che, in ambito cattolico tradizionalista, pare esserci tuttora chi è contrario ai trapianti per ragioni teologiche.

Infine, si tenga presente che in campo etico e teologico non sono solo i testimoni di Geova a pensare che col tempo una confessione religiosa possa modificare la comprensione di certi aspetti. Pur mantenendo fermi gli insegnamenti fondamentali, può accadere che, volendo sempre attualizzare il messaggio biblico, col tempo e alla luce di nuovi sviluppi si comprendano in modo diverso certi aspetti dottrinali. Si prenda di nuovo il caso del cattolicesimo. “La teologia nel suo processo di rinnovamento conosce movimenti pendolari. Il ritorno alla posizione precedente non è tuttavia mai l’esatta ripresa del modo di pensare e di esprimersi del tempo passato“, scrivono Giacomo Canobbio e Mario Fini, membri dell’Associazione Teologica Italiana (“Introduzione”, in ATI, L’escatologia contemporanea. Problemi e prospettive, Edizioni Messaggero, Padova 1995, p. 9). “La fede della Chiesa riconosce nella Scrittura la propria norma e ad essa si sente vincolata; tuttavia, come a suo tempo ne ha fissato il canone, l’elenco dei libri sacri, così in ogni epoca si sente autorizzata a interpretarla, perché sa di essere animata dal medesimo Spirito Santo, che ne è l’autore [...] Nel procedere della storia, davanti a situazioni e problemi sempre nuovi, la Chiesa deve ripensare e riformulare continuamente la sua dottrina, proprio per rimanere fedele al messaggio originario, sperimentarne la fecondità, comprenderne altri aspetti”, si legge in La verità vi farà liberi. Catechismo degli adulti (a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1995, pp. 294-6). Come si è detto sopra, è proprio questo che è accaduto in ambito cattolico relativamente al caso dei trapianti. Analoghe modifiche sono intervenute nella riflessione dottrinale dei testimoni di Geova, che oltretutto non hanno mai accampato pretese di infallibilità. (Proverbi 4:18) Questo spiega la successiva trattazione fatta nella Torre di Guardia del 1° settembre 1980, p. 31 (ed. inglese del 15 marzo 1980, p. 31).

Da quanto detto sopra non si può che trarre l’evidente conclusione che anche in questo caso, la critica formulata dai nostri detrattori per cercare di screditare i Testimoni di Geova non ha alcun fondamento.